[vc_row][vc_column][vc_text_separator title=”Convivio, Rubrica a cura di Mario Blancato”][vc_column_text]Portare a conoscenza delle nuove generazioni avvenimenti accaduti nei secoli passati che hanno interessato la storia locale, è certamente importante e ci aiuta a capire che la “storia” non è fatta solo di macro eventi, ma anche di vicende locali che si inseriscono in fatti storici molto più grandi.
L’assedio francese di Melilli del 1676 (descritto in un saggio da Sebastiano Crescimanno) è senza alcun dubbio uno di quei “fatti” storici che non interessarono solo il centro ibleo, ma diedero anche un contributo non indifferente alla storia europea di quel secolo.
L’episodio, infatti, si inquadra nel più ampio panorama della storia europea ed avvenne nel corso della guerra franco – olandese che si combatteva nel nord Europa e che si concluse nel 1678 con la pace di Nimega. E’ proprio all’interno di quegli avvenimenti che si inserisce la rivolta del 1674 contro la Spagna della città di Messina, che, chiedendo aiuto ai francesi, permise al re di Francia Luigi XIV di inviare una flotta a sostegno dei rivoltosi.
Messina, città commerciale, infatti, rivendicava l’indipendenza dal Paese iberico e per non soccombere coinvolse in questo progetto la Francia, che accolse la richiesta di aiuti e accorse con una flotta e un esercito a difendere la città peloritana dall’eventuale repressione spagnola.
Per cui il re Luigi XIV inviò nello Ionio una squadra navale al comando del duca di Vivonne, per presidiare le coste della Sicilia orientale da eventuali rappresaglie spagnole. Il sovrano francese, fra l’altro, sperava che tutta l’Isola avrebbe seguito l’esempio di Messina e si sarebbe ribellata alla Spagna: ma ciò non avvenne, in quanto la stragrande maggioranza delle città siciliane rimase fedele al sovrano spagnolo. Per cui, la squadra navale francese, dopo essere rimasta al largo delle coste siciliane per quasi un anno, assediò Augusta cittadina ben fortificata, che si pensava, erroneamente, fosse difficile da espugnare.
Invece i forti d’Avolos, Garzìa e Vittoria furono facilmente conquistati, in quanto scarseggiavano di munizioni e dunque impossibilitati a resistere per molto tempo: la cittadina megarese, infatti, fu occupata dai francesi il 17 agosto 1675. Da quel momento anche Melilli fu al centro della strategia militare del Vivonne, che ordinò ai francesi ad occuparla e a saccheggiarla.
“Le prime mire del Vivonne [dopo l’occupazione di Augusta n.d.A], infatti, furono indiritte contro di Melilli. Avea questa città un picciolo forte, in cui eravi una guarnigione di soli 500 soldati, i quali resistettero quanto fu in loro potere; ma finalmente divennero, sebbene a nuovi patti, e allora i terrazzani dovettero subire il saccheggio” (G.E.Di Blasi, Storia del Regno di Sicilia).
Melilli era una spina nel fianco dei francesi; per cui doveva essere estirpata al più presto, in quanto dall’alto della sua posizione (attraverso la quale dominava il sottostante golfo da Augusta fino a Santa Panagia) impediva ai francesi di proseguire la marcia di conquista fino a Siracusa, in quanto anche i passi erano presidiati dagli stessi melillesi.
Fra l’altro i giurati di Melilli erano rimasti fedeli alla Spagna e collaboravano attivamente con il presidio spagnolo comandato da don Michele Landetta.
Per cui, per i francesi, “Rendevasi necessaria l’occupazione di Melilli anche per costringere la cittadinanza al vettovagliamento delle truppe, al che con ostinata fierezza ricusavasi, anche di fronte alle più severe minacce” (S. Crescimanno, Melilli assediata e saccheggiata dai Francesi nel 1676).
Il 18 agosto 1675 (il giorno dopo l’occupazione di Augusta) i giurati della cittadina megarese, per ordine del duca di Bivona, sollecitarono i giurati melillesi a portare erbe e frutti, altrimenti quest’ultimi sarebbero stati bruciati. Il giorno dopo (19 agosto 1675) il duca di Vivonne, in nome di Luigi XIV, pubblicò un bando con il quale ordinava che “Li villaggi, terre e casine vicine che sono accostumate a portar viveri a questa città d’Agosta oprino secondo il solito subito, altrimenti manderemo la soldatesca a devastare e rovinare tutti i loro paesi” (S.Crescimanno, cit.).
Alle minacce del Vivonne, i melillesi risposero tagliando il corso d’acqua della sorgente Càntera (Càntra) che approvvigionava di acqua potabile Augusta e in contemporanea smantellarono i mulini del feudo di San Cusmano. Dopo questi gravi fatti, che seguivano alle ingiunzioni del Vivonne e che dimostravano che i melillesi non avevano alcun timore a non eseguirle, per i francesi si rese improcrastinabile l’assalto alla piazzaforte di Melilli (che aveva osato disattendere gli ordini), che fra l’altro era stato tentato altre volte senza successo.
Questa volta, però, l’attacco venne preparato minuziosamente e coinvolse dodicimila fanti e ottocento cavalli.
L’assalto alla fortezza “Melilli”, fortemente voluto dal Vivonne, fu pianificato dal comandante De Mornas, che sull’imbrunire del 22 settembre 1676, alla testa di questo potente esercito, si mise in marcia verso il paese ibleo. I francesi si divisero in due colonne: la prima, composta da diversi reggimenti di fanteria, al comando di De Croalta e di De Rochois, si diresse su Melilli attraverso le contrade Passo di Siracusa, Sabuci e Pianazzo con l’obiettivo di espugnare le fortezze ed impossessarsi dell’abitato; la seconda, al comando del Signor di Modoval, marciando verso Sortino, attraverso le contrade Bagali, Curcuraggi, Malfitano, ecc., aveva l’ordine, qualora la prima colonna non fosse riuscita ad espugnare Melilli, di piombare con la cavalleria sul castello: diversamente doveva puntare su Sortino ed occuparlo. L’ordine di attaccare Melilli fu dato, dunque, il 23 settembre 1676 (mercoledì) 15^ Indizione, intorno alle ore nove di notte (circa le 4 antimeridiane dell’orologio d’oggi), alla prima colonna, che giunta in contrada Pianazzo si divise in due brigate: una attaccò il paese da nord arrampicandosi sull’altipiano Cugno Cappuccini; l’altra, invece, sferrò l’attacco da sud per la valle Fiera, al fine di arrivare dietro la chiesa di San Sebastiano e attaccare il castello.
La brigata che doveva attaccare da nord, però, non riuscendo a scalare la collinetta che conduceva alle spalle del convento dei Cappuccini, fu costretta a intagliare nella roccia degli scalini (oggi Scala dei Francesi) per raggiungere più facilmente il paese. La resistenza fu accanita sia da parte della guarnigione ispano – tedesca che dei cittadini di Melilli, che costrinsero l’avanguardia dei granatieri a ripiegare e a raggiungere di corsa il grosso della brigata. L’assalto alle fortezze durò oltre sette ore fino a quando non cominciarono a mancare le munizioni; per cui i soldati e i melillesi in armi si rifugiarono nelle chiese e nel castello nella speranza di avere salva la vita.
I francesi, da vincitori, invasero il paese, mentre i presidi della torre e del castello si arrendevano dichiarandosi, con il governatore don Michele Landetta, prigionieri di guerra.
I conquistatori, però, si abbandonarono ai più turpi atti di vandalica distruzione, rapina degli averi e aggressione contro i cittadini, che, accompagnati dal clero salmodiante, imploravano pietà.
Melilli fu saccheggiata: nessuna chiesa, nessun convento o monastero, nessuna casa di ricchi o poveri, nessun asilo fu sottratto alla furia devastatrice dei francesi, che ubriachi di vendetta e di ferocia, sordi alle grida di terrore ed alle lacrime delle donne che imploravano pietà, distruggevano tutto, lasciando alle loro spalle solo terra bruciata. “Gli archivi dei notai e delle chiese erano in preda alle fiamme, e qua e là per le strade ardevano immense cataste di mobili e di stoffe e grandi mucchi di seta; e tra le oscene risa e gli irriverenti applausi, si sgozzavano e si buttavan vivi tra le fiamme gli innocenti animali domestici, e s’obbligavan le fanciulle a danzare ignude innanzi a quei falò”. (S.Crescimanno, cit.) Tutto fu profanato e distrutto: altro non rimase che la miseria e il pianto. Per due lunghi anni i notai che esercitavano a Melilli non stipularono atti notarili di compravendita. Un patrimonio storico, custodito negli archivi, andò definitivamente perduto e con esso la conoscenza di fatti storici antecedenti al 1676. “Fra tanta distruzione, solo il simulacro di San Sebastiano, ancora una volta, si salvò dalla rapacità dei francesi che miravano al tesoro del Santo. “Non si perdonò nemmeno alle chiese, quantunque 4 soldati, che furono li primi a tentare quella di S. Sebastiano, ove l’Immagine sua è rinchiusa con ricchi arredi d’argento, restarono stroppiati, e immobili, che per necessità furono quindi su le spalle di altri tolti, e però fu rattenuta dal miracolo la rapacità dei predoni”. (F. Strada, Storia della ribellione e riacquisto di Messina)
I ventisette giorni di occupazione francese provocarono morte, distruzione e rovina per tutti i ceti sociali, in quanto sconvolsero l’assetto sociale ed economico del paese. “Fu tale l’immiserimento in cui rimase [Melilli] che, con decreto vicereale, emanato in Catania il 9 novembre 1676, confermato agli 11 maggio 1678, i cittadini superstiti furono esentati da tutte le gabelle, dalle angarie reali e personali, dal pagamento delle tande e donativi regi e dal servizio di milizia così di piedi come di cavalli” (S. Crescimanno, cit.).
L’altra colonna francese, poi, avuta notizia che Melilli era caduta, marciò su Sortino per occuparlo. Il piano strategico, però, non riuscì perché i sortinesi, avuto sentore del piano militare francese, chiesero aiuto di uomini armati ai Comuni di Cassaro, Ferla e Palazzolo; per cui tutti assieme opposero una forte resistenza che costrinse il nemico a ritirarsi precipitosamente. Fra l’altro molti melillesi, compreso il segreto (sindaco) Don Tommaso Lastorina (che nottetempo aveva abbandonato il convento dei Padri Cappuccini per eludere il nemico) per sfuggire alle rappresaglie dei francesi si erano rifugiati nella vicina cittadina di Sortino, dove trovarono conforto e sicurezza.
Il 16 marzo 1678, dopo quattro anni, i francesi abbandonarono Messina e la Sicilia orientale, permettendo così il ritorno degli spagnoli che diedero il via a vaste epurazioni. A Melilli fu la famiglia Tristaino ad essere colpita da queste epurazioni. L’occupazione di Melilli si concluse, dunque, dopo soli 27 giorni, perché il Vivonne non mirava ad una presenza permanente di truppe francesi nel centro ibleo, in quanto ciò avrebbe bloccato un numero rilevante di soldati; piuttosto lo scopo era stato quello di punire un paese fortificato che aveva avuto l’ardire di disattendere gli ordini francesi e non rendere sicura la conquista di Augusta, nonchè sbarrare la strada per Siracusa. Per cui, dopo che ebbe la certezza che Melilli non sarebbe stata in grado di fornire armi e armati agli spagnoli, ordinò all’esercito di fare ritorno ad Augusta. “[Il Vivonne [quindi] altro acquisto non potè fare che dare scacco alla piccola terra di Melilli ed insignorirsi del forte, che le stava appresso, difeso da centocinquanta soldati spagnoli, i quali, fatta la resistenza che poterono s’arresero a buoni fatti” (N.Palmeri, Somma della Storia di Sicilia).[/vc_column_text][vc_text_separator title=”di Paolo Magnano”][/vc_column][/vc_row]