Si punta al ritorno delle elezioni dirette in primavera
Il voto di secondo livello per le ex Province siciliane, originariamente fissato per il 15 dicembre, è stato annullato in seguito all’approvazione di un emendamento alla riforma Urbanistica da parte della maggioranza di centrodestra all’Assemblea Regionale Siciliana (ARS). Tale emendamento ha prorogato il mandato dei commissari e rinviato le elezioni di secondo grado nei Liberi Consorzi Comunali e nelle Città Metropolitane a una data tra il 6 e il 27 aprile 2024. Nel frattempo, la maggioranza di centrodestra ha proposto un disegno di legge che punta a ripristinare l’elezione diretta dei vertici degli enti intermedi, obiettivo che richiedeva il rinvio delle elezioni di secondo grado, destinate al voto di sindaci e consiglieri. Questa proroga, valida fino al 1° marzo 2025, fornisce all’ARS il tempo necessario per approvare la nuova legge, aprendo la strada a elezioni dirette che potrebbero coincidere con le elezioni amministrative di primavera. Il disegno di legge, già approvato dalla commissione Affari Istituzionali, proseguirà ora il percorso verso la commissione Bilancio e tornerà successivamente alla prima commissione per il voto finale. Tale iter punta a dare la possibilità ai cittadini siciliani di scegliere direttamente i propri rappresentanti, in linea con il programma del presidente della Regione Renato Schifani. La vicenda delle ex Province, abolite in origine dall’ex presidente Rosario Crocetta, si lega a doppio filo con le tempistiche legislative, in quanto l’ARS si trova ad affrontare un intenso carico di lavoro, rendendo difficile l’approvazione della norma entro il 6 novembre, data di avvio della sessione di bilancio. Entro il 5 novembre devono essere approvate le variazioni di bilancio, mentre la Finanziaria sarà assegnata alle commissioni a partire dal 7 novembre. Da qui l’urgenza del rinvio delle elezioni. In Aula, la situazione ha generato forti scontri tra maggioranza e opposizione: il Partito Democratico ha duramente criticato la decisione, definendola una “vergogna” e un “gioco di melina” volto a limitare l’espressione di sindaci e consiglieri, sostenendo che l’abolizione della legge Delrio sia una condizione necessaria per parlare di elezioni dirette. Accuse di “spartizione” e timori elettorali sono stati rivolti al centrodestra, mentre il Movimento 5 Stelle ha etichettato la norma come anticostituzionale, ritenendo l’ipotesi di elezioni ad aprile non supportata dalle previsioni del governo Meloni. In risposta alle critiche, il presidente dell’ARS ha respinto le accuse, sottolineando che l’emendamento era stato concordato con l’opposizione.