Aggiornato al 24/12/2020 - 09:55

Le Isole di Norman

condividi news

“…Camminare sulle impronte del passato non è mai una buona idea. Si finisce per scoprire che il passato non esiste, non in quella forma in cui lo abbiamo sempre pensato.”

Iniziamo questa rubrica di consigli per la lettura a cura della Casa del Libro – Mascali con un’autrice nata ad Ortigia ma che vive e lavora a Livorno da parecchi anni: Veronica Galletta, la quale con il libro

“Le isole di Norman” (ed. Italo Svevo) ha vinto il premio Campiello Opera Prima 2020.

Il tempo e la memoria sono i motivi portanti della storia, ambientata negli anni ’90 ad Ortigia la quasi Isola in cui Elena, una giovane studentessa  universitaria, vive con il padre e la madre.

Quando all’improvviso quest’ultima scompare senza lasciare tracce, senza neanche una lettera o un biglietto, Elena inizia a cercarla utilizzando una specie di rituale che comprende l’uso di alcune mappe da lei disegnate con le quali inizia a perlustrare tutti gli angoli dell’Isola disseminando ovunque libri come esche per attirare la madre, mentre avvengono incontri e i ricordi riaffiorano come tante altre isole dimenticate.

Il passato, a causa di un incidente avvenuto quando era piccola, ha lasciato delle cicatrici sul suo corpo, e attraverso il gesto simbolico della mappatura di luoghi mentali e di ricordi letterali affida alla ricerca della madre un suo personale percorso di crescita e di elaborazione del “ tempo perduto” .

La mancanza, l’assenza sono per l’autrice una possibilità aperta alla scoperta di chi, pur essendoci stata, rappresentava comunque un mistero insondabile: “… è l’assenza l’essenza di sua madre…”.

Il tesoro che troverà sarà quello inciso sul palmo della sua mano, la forza per andare avanti da sola dovrà trovarla in sé stessa e nel patrimonio che ha ricevuto dai genitori, come sempre e come tutti imperfetti, sia nella presenza che nella assenza.

Le linee della mano sono le coordinate della sua geografia interiore, i segni sul corpo sono le tracce che compongono il  suo passato.

L’incidente che ha segnato la sua infanzia ha lasciato impressi i solchi e i rilievi da cui è partita la sua particolare, unica e irripetibile storia, la sua personale geografia i cui confini hanno un nome: Lilliput e Laputa, Atlantide e Mompracem,  i nomi che aveva dato fin da bambina alle cicatrici indelebili che costituiscono, attraverso la chiave della fantasia e dell’immaginazione,  il suo inedito posto del tesoro.

Nella ricerca della madre inventa il gioco in cui “spargo per l’isola tracce di mia madre, i libri che lei amava tanto”. Lasciare tracce che segnano la sua presenza come un richiamo fatto di segni che solo loro due possono decifrare e decodificare. Mappe interiori che portano nel posto del cuore.

L’incidente l’ha abituata a una solitudine riempita dalla presenza dell’amico immaginario che è sempre stato lì a portata di mano.

Da adulta la solitudine della madre riverbera in lei e farsene carico significa assumerne le sembianze per decifrare i pochi segni che lei andandosene ha portato con sé: la pianta di basilico nero, il suo gilet rosso e un libro: La montagna incantata. E basta, non una lettera, una parola, un saluto.

Lasciare andare a volte è l’unica soluzione per crescere, rinunciando all’idea che esista la possibilità di controllare il caos, organizzare il flusso della vita, “ridurre tutto a colonne di libri, da mettere in ordine su una griglia da analizzare.”

Recensione a cura di  Leontine Regine

 

Primo Piano

ULTIMA ORA

CULTURA

EVENTI

Comitati

invia segnalazioni