Aggiornato al 18/10/2021 - 08:05

Ai piedi della montagna (Etna)

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[vc_row][vc_column][vc_text_separator title=”Convivio, Rubrica a cura di Mario Blancato”][vc_column_text]«E’ un urlo che vuol far sapere in questo luogo disabitato che io esisto oppure che non soltanto esisto ma che so… esso è destinato a durare oltre ogni possibile fine».

Il fotogramma finale di Teorema (1968) di Pier Paolo Pasolini ‘ferma’ l’immagine sulla sciara dell’Etna, livida coltre di rocce e di sabbie pesanti, memoria rappresa del fuoco che la Montagna ha vomitato rendendo quel frammento di terra scossa dagli elementi un «luogo disabitato». Un uomo denudato, smarrito in quella solitaria rimessa dell’Inferno, vomita il suo grido sordo, acido, ferroso. L’urlo si ferma, come sospeso nell’aria sulfurea, dove «esso è destinato a durare oltre ogni possibile fine». Si fa parola. Parola destinata a durare, a stratificarsi nel tempo, ad addensarsi, a comporsi, a sfrangiarsi e, ancora, a ricomporsi in un «catasto magico» (Maria Corti, Catasto magico, 1999) di superba, incantata mitopoiesi.

La Montagna è luogo letterario, ancor prima che geografico. Erutta storie.

Efesto, nel suo ventre, forgia parole, cesella nel fuoco vivo dell’invenzione personaggi reali e mitologici. Sirene e Ciclopi, «diabuluni», draghi volanti. Il gigante Encelado e il mostruoso Tifone giacciono nelle cavità della Montagna divorati da un’agonia senza fine, scuotendo la terra e sputando fuoco. Il filosofo Empedocle salì alle sue sommità per ricongiungersi e fondersi al caos primigenio nella catarsi in cui vita e morte si danno nell’eternità della leggenda. Morgana condusse nelle sue spelonche Artù per guarire il re dalle ferite e renderlo immortale. Così fece anche la regina Elisabetta, che giunse alle pendici dell’Etna per stringere un patto con il diavolo e conquistare l’immortalità. Si viene a patti con la Montagna, pena l’annientamento e la fine. La Montagna dà la vita e la toglie; scuote, atterrisce, placa; illude, ammalia, ispira, innamora; locupleta e impoverisce; disamora, schianta, distrugge; protegge, salva e rende immortali. La Montagna è femmina. È donna, madre, sorella, amante. Da essa, agli «orli della vita», si sprigiona «tutto l’infinito che è negli uomini», come presentì Luigi Pirandello nel suo mito ultimo e incompiuto de I giganti della montagna.

Tutto questo «infinito che è negli uomini» che la Montagna sprigiona dal suo essere recondito e assoluto lo scrittore Massimo Maugeri è riuscito a raccontarlo nel suo nuovo romanzo, Il sangue della Montagna (Massimo Maugeri, Il sangue della Montagna, La Nave di Teseo, 2021).

Lo scrittore catanese Massimo Maugeri

Scrittore di fertile e raffinata invenzione, ideatore e direttore di Letteratitudine, informatissimo blog letterario divenuto, ormai da anni, per serietà ed autorevolezza, un punto di riferimento nel frastagliato panorama culturale odierno, il romanzo di Massimo Maugeri sembra essere stato ‘eruttato’ dalle oltre duecento ‘bocche’ del vulcano, tanti sono gli stati d’animo e le passioni, le peripezie e le agnizioni, i temi e i motivi che l’autore ha saputo intrecciare tra loro legandoli alle vicende e ai destini dei personaggi che si muovono su piani diversi e complementari della narrazione, magistralmente ‘orchestrati’ dall’autore come un poema sinfonico.

Quello di Maugeri è un romanzo fluviale che scorre appassionato, appassionante, e cattura il lettore con la sua scrittura tersa, rapinosa, irretendolo in una trama corale degna di una saga steinbeckiana. Nell’età delle esistenze liquide, del nomadismo planetario e delle grandi paure collettive (il terrorismo, la pandemia, gli sconvolgimenti ambientali e

geopolitici) Massimo Maugeri consegna ai lettori una storia radicata in un luogo, inchiavata nel mito; una potente «comédie humaine» che si consuma ai piedi della Montagna, sulla quale alita il soffio dolceamaro della poesia della vita, e che spinge il lettore a guardare in faccia la sostanza che si cela dietro le maschere, le finzioni e i conflitti del vivere sociale.

Qualcuno ha scritto che un titolo è già una chiave di accesso all’interpretazione di un’opera, e il lettore non può sfuggire alle suggestioni che esso è in grado di suscitare (U. Eco, Postille al “Il Nome della Rosa”, Il titolo e il senso, Alfabeta n. 49, 1983). Il titolo di un romanzo è una porta aperta sugli infiniti universi possibili della letteratura.

In tal senso, la nuova prova narrativa di Massimo Maugeri fa anche i conti con una eredità letteraria, quella isolana, spesso obliata ma pur sempre imprescindibile e carica di senso per quella sua tensione a ‘problematizzare il reale’, per la costante ricerca della verità nel tentativo, spesso vano, di sottrarla alle ’imposture’ del potere e della Storia e per l’attenzione ai “vinti” e agli «irredenti» di ogni tempo.

I personaggi del romanzo di Maugeri sono ‘sangue’ della Montagna-Madre e ad essa sono legati da un vincolo ancestrale, da un sentimento antico, tenace, viscerale, che sembra possedere totalmente e muovere i loro destini: la filogenesi ripete l’ontogenesi.

Così è per Marco Cersi, che combatte invano per mantenere in vita la piccola impresa di lavorazione della pietra lavica e che affida la sua sconfitta, i suoi sogni e i suoi malesseri alla scrittura delle Riflessioni estemporanee di un pragmatico sognatore, ‘pretesto’ metaletterario del romanzo. Così è per Paola Veltrami, che vede tragicamente svanire sotto i colpi di una realtà cinica e impietosa il suo futuro di moglie, di madre e di imprenditrice ripiegando sull’utopia latouchiana di una Economia Umana sulla quale fondare una società della reciprocità e del dono opposta a quella del profitto e della diseguaglianza, in grado di «affrancare» quell’«esercito di neoschiavi» roso da ansie, frustrazioni e rancori nel quale si è trasformata la società. Così è per Eleonora, che compensa la perdita prematura del marito Alberto coltivando profumatissime rose nel giardino di casa. Così è per la teoria di personaggi – «I prescelti della Montagna» – che si muove dentro il romanzo e che all’ombra della Montagna nutrono incantagioni e follie, suscitano fantasmi, coltivano «Rose del Vulcano» dai profumi stordenti, costruiscono una «Casa della lava» dove continuare il sogno di bellezza e di poesia di don Vito Terrazza, figura di artigiano-mago nella quale lo scrittore ha trasfigurato il mito di Efesto, l’artifex dalla dita rese deformi dall’artrite che lavora la pietra del vulcano, capace di «affrancare» la bellezza della forma dalla dura, refrattaria materia.

Maugeri_Il-sangue-della-Montagna_copertina

«All’improvviso mi venne in mente il pensiero che la Montagna fosse capace di instillare un seme che si radicava nella sfera mentale ed emotiva degli individui che presceglieva, creando un legame inscindibile. Un legame che poteva sfociare in una forma di asservimento, persino di serpeggiante idolatria, di cui io mi sentivo del tutto assente. Ma anziché considerare il lato positivo del non sentirmi in una condizione di assoggettamento, fui travolta da un doloroso senso di esclusione».

Il «doloroso senso di esclusione» che avverte Paola Veltrami è lo stesso che scuote l’animo del giovane ‘Ntoni Malavoglia nella chiusa del capolavoro verghiano, il ribelle che non si sente parte di quei «figli di un altro tipo» e che lo ‘strappo’ dal codice ancestrale da lui consumato rende per sempre un ‘escluso’ dalla comunità. Così accade nel romanzo di Maugeri, la cui pagina si impregna di quell’«effetto Sicilia» declinato nella grande

tradizione del romanzo ‘europeo’ siciliano – da Capuana a Navarro della Miraglia, da Verga a De Roberto, da Pirandello a Tomasi di Lampedusa, a D’Arrigo e a Sciascia, fino alle opere di Fiore, Consolo, Bufalino, Camilleri, Alajmo, Piazzese, Calaciura e al Nostro – secondo l’assunto che «narrare diventa un’operazione di verità, di scavo e di “oltraggio”» (cfr. Carlo Madrignani, Effetto Sicilia. Genesi del romanzo moderno, Quodlibet, 2007).

In tal senso, nella sua adamantina coesione stilistica e testuale e nella sua ardua apertura ad accogliere i ‘semi’ di una tradizione letteraria feconda, mai edulcorata e oleografica, e le risonanze della «letteratura circostante» (Gianluigi Simonetti, La letteratura circostante, 2018), Il sangue della Montagna aderisce, da un lato, ai codici narrativi della New Italian Epic, filtrandoli attraverso una matura e personalissima consapevolezza linguistica ed espressiva; ed assume, dall’altro, la prospettiva di una percezione della crisi degli statuti gnoseologici classici, dell’assenza di assoluti, della resa oggettiva di un reale oscuro, ambiguo, violento, dominato dalla logica economicistica della sopraffazione, nel rifiuto di ogni visione ‘umanistica’ dei processi storici.

Ma, se è vero che ne I Malavoglia la Provvidenza affonda inabissandosi con il suo carico di lupini portando così alla dissoluzione e alla fine l’amaro idillio della ‘Casa del Nespolo’, nel romanzo di Massimo Maugeri la colata devastante del vulcano risparmia pietosamente il ‘sangue del suo sangue’. Così, «il sangue torna al sangue», perché, inesorabilmente, la Montagna, come sapeva Marco Cersi, «tutto dà e tutto toglie, tutto toglie e tutto dà». Sicché, le rose incantate di Eleonora sono destinate a resistere e a durare all’aggressione insolente delle leggi della natura; sono destinate a resistere e a durare anche le tartarughe che Padma, ‘figlia elettiva’ della Montagna, affranca dalla pietra lavica, come don Vito le aveva insegnato; così, a resistere e a durare è destinata l’«odorata ginestra» leopardiana, ‘figlia’ del «formidabil monte sterminator Vesevo» (Leopardi, La ginestra o il fiore del deserto, vv. 2-7), che il poeta ha reso eterna nelle sue parole e nella critica radicale mossa a ogni «istanza progressiva» della storia che non abbia fondamento e radice in un «patto» di solidarietà e di affratellamento fra gli uomini.

Il romanzo di Massimo Maugeri è anche una affascinante storia di parole, di scrittura e di manoscritti che, nella finzione metaletteraria, salvano dall’ineluttabile corso della natura e che sono salvati dal tempo, «mai oblioso e scordevole».

Parole salvate e parole che salvano nella pietas della memoria e nel richiamo del ‘sangue’.

Massimo Maugeri, con Il sangue della Montagna, ci consegna un’idea di letteratura ‘forte’, un lascito impegnativo che il lettore è chiamato a raccogliere e a tramandare come un dono prezioso di umanità e di poesia.[/vc_column_text][vc_text_separator title=”di Salvo Sequenzia “][/vc_column][/vc_row]

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