PALERMO – Pur avendo sempre escluso un rientro diretto sulla scena politica dopo le note traversie giudiziarie che in passato lo portarono anche in carcere, Totò Cuffaro, già governatore della Sicilia e oggi indagato per corruzione, associazione a delinquere e turbativa d’asta, avrebbe confidato al suo stretto collaboratore Vito Raso — anch’egli sotto inchiesta — l’intenzione di ricandidarsi alla presidenza della Regione.
È quanto emerge dagli atti dell’indagine nell’ambito della quale la Procura di Palermo ha chiesto i domiciliari per Cuffaro e per altre 17 persone, tra cui l’ex ministro Saverio Romano.
Comunicazioni “blindate”: usati telefoni di moglie e collaboratori
Ricostruendo le cautele adottate per “blindare le comunicazioni“, i magistrati sottolineano che Cuffaro talvolta utilizzava l’utenza telefonica della moglie e quella di un altro collaboratore, Antonio Abbonato.
«Nell’adozione di tali accorgimenti, assurti a vero e proprio metodo, Abbonato e Raso — dicono i magistrati — hanno sempre assunto un comportamento proattivo finalizzato ad assicurare all’ex governatore della Regione Sicilia una sorta di schermo protettivo rispetto a possibili attività di intercettazione».
La precauzione nell’utilizzo di telefoni intestati ad altri soggetti dimostrerebbe, secondo gli inquirenti, la consapevolezza da parte di Cuffaro e dei suoi collaboratori di essere potenzialmente oggetto di attività investigative e la volontà di nascondere contenuti sensibili delle conversazioni.
Raso confidava: “Cuffaro vuole candidarsi, ma non lo dice a nessuno”
La stretta vicinanza di Raso all’ex presidente sarebbe ulteriormente comprovata dal fatto che egli «dimostrava di conoscere, quasi in via esclusiva, — secondo gli inquirenti — le vere intenzioni di Cuffaro, interessato a candidarsi entro tre anni alla carica di presidente della Regione Sicilia».
In un colloquio a bordo auto intercettato, Raso avrebbe confidato a un amico che Cuffaro «aveva in progetto di candidarsi quale presidente della Regione, nonostante non lo avesse rivelato ad alcuno».
La rivelazione contenuta negli atti dell’inchiesta getta una luce nuova sulle ambizioni politiche dell’ex governatore, che pubblicamente aveva sempre negato l’intenzione di tornare a ricoprire cariche istituzionali di primo piano.
Secondo la ricostruzione della Procura, Vito Raso e Antonio Abbonato avrebbero svolto un ruolo chiave nell’organizzazione delle comunicazioni riservate di Cuffaro, adottando un vero e proprio sistema per proteggere l’ex governatore da possibili intercettazioni.
I due collaboratori avrebbero agito in modo proattivo, anticipando le esigenze di riservatezza e garantendo a Cuffaro la possibilità di comunicare senza essere intercettato direttamente. Questo “schermo protettivo” sarebbe stato funzionale non solo alla gestione delle attività politiche, ma anche alle presunte dinamiche illecite oggetto dell’inchiesta.
L’ambizione segreta: tornare a Palazzo d’Orleans
L’intercettazione che rivela il progetto di ricandidatura entro tre anni alla presidenza della Regione Siciliana rappresenta uno degli elementi più clamorosi emersi dall’inchiesta. Cuffaro, che dopo la condanna per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra aveva sempre dichiarato di voler rimanere “dietro le quinte” della politica siciliana, avrebbe invece coltivato l’ambizione di tornare a Palazzo d’Orleans, sede della presidenza regionale.
Il fatto che tale intenzione fosse stata confidata solo a Raso e tenuta nascosta “ad alcuno” evidenzia la natura riservata del progetto e la volontà di evitare polemiche pubbliche prima del momento opportuno.
L’inchiesta della Procura di Palermo continua a far emergere dettagli che scuotono profondamente la politica siciliana. Oltre alle accuse di corruzione, associazione a delinquere e turbativa d’asta legate ai presunti appalti pilotati nel settore sanitario, emerge ora anche un quadro di ambizioni politiche e di strategie comunicative volte a proteggere l’ex governatore da indagini e controlli.
Le rivelazioni contenute negli atti processuali stanno alimentando il dibattito politico e le richieste di chiarezza e interventi decisi da parte del governo regionale e delle istituzioni competenti.
È opportuno ribadire che, pur nella gravità delle accuse e degli elementi emersi dalle intercettazioni, valgono per tutti gli indagati le garanzie costituzionali e la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva. Gli sviluppi processuali chiariranno la fondatezza delle accuse e le responsabilità individuali.
Tuttavia, il quadro che emerge dagli atti dell’inchiesta solleva interrogativi profondi sul funzionamento del sistema politico-amministrativo siciliano e sulla necessità di un rinnovamento radicale della classe dirigente regionale.









