L’addio di Zara, noto marchio internazionale, pone l’accento sui progetti e sulle prospettiva per l’isolotto di Ortigia, un “Centro storico” talmente riconoscibile e “ingombrante” che spesso, erroneamente, viene indicato al posto della città di Siracusa nell’indirizzo degli eventi
I disagi e la preoccupazione dei dipendenti di Zara, il cui destino appare incerto dopo quasi 20 anni di permanenza a Siracusa, rappresentano soltanto la punta dell’iceberg di una questione che stranamente non sembra essere mai d’attualità, ovvero immaginare una programmazione, o anche soltanto un indirizzo dal punto di vista commerciale, per contrassegnare “l’anima” del centro storico.
In poche parole, nel rispetto delle normative nazionali ed internazionali, in particolare la famigerata “direttiva Bolkestein“, ci si chiede se la prospettiva per Ortigia sia quello di diventare un enorme contenitore per ristorazione di ogni livello, dalla friggitoria “diversamente pulita e accogliente” al ristorante stellato, con prezzi in certi casi comunque paragonabili, o un luogo dedicato al turismo cosiddetto “di lusso”, con marchi prestigiosi e riconoscibili, oppure se tutto debba rimanere così com’è, una sorta di “ibrido” in cui possono coesistere, nelle vie principali e più affollate, negozi eleganti e oscure botteghe alimentari, gioiellerie e magazzini di cianfrusaglie dalla fattura – e spesso dal gusto – quanto meno opinabili.
È evidente – ma è sempre bene ribadirlo – che in questa sede non si propende per l’esclusione a priori di questa o quella categoria merceologica, in maniera discriminatoria, semplicemente ci si chiede cosa possa pensare un ipotetico visitatore che per le vie di uno dei centri storici più belli al mondo, si trovi catapultato in una sorta di mondo fatato, fatto di tutto e del suo contrario. Il souvenir con “A mafiusa” di origine asiatica, le arancine surgelate pronte alla frittura da giorni, i ninnoli etnici, in certi casi molto belli ma sicuramente fuori contesto, i cannoli con la ricotta stantia, le pizze-frisbee e il “cuoppo di pesce” di gomma possono davvero convivere impunemente?
La direttiva Bolkestein, lo ricordiamo per comodità, prevede che in tre casi le autorità possano richiedere un’autorizzazione per l’avvio di un’attività commerciale, e cioè 1) il regime di autorizzazione non deve essere discriminatorio nei confronti del prestatore; 2) la necessità di un regime di autorizzazione deve essere giustificata da un motivo imperativo di interesse generale; 3) l’obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, in particolare in quanto un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale efficacia.
Tutta la giurisprudenza e la prassi concordano ormai che proprio il punto 2, ossia l’imperativo interesse generale, possa essere la base normativa alla quale collegare le eventuali autorizzazioni da richiedere per l’apertura di un nuovo negozio in un centro storico. Decoro, opportunità, programmazione in chiave turistica sono soltanto alcuni degli interessi generali che andrebbero perseguiti anche nell’isolotto di Ortigia, provando, con coraggio, a dare una forte “impronta” ai luoghi, dotandoli cioè di un’anima commerciale riconoscibile, da affiancare a quella innegabile e bellissima storico-culturale.
L’obiettivo è complicato ma, con un po’ di impegno comune a tutte le parti coinvolte, non impossibile da raggiungere.