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Aggiornato al 05/05/2021 - 10:08

Il meraviglioso Sagrato della Chiesa Madre di Sortino

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Sortino Chiesa Madre

Bisognerà una buona volta decidere a quale santo votarsi; stabilire con certezza cosa farsene del sagrato della Chiesa Madre di Sortino. Nessuno si scandalizzi e la proposta non sembri peregrina; la si consideri piuttosto una questione dirimente. Nel senso che prima di tutto occorrerà distinguere: ciò che è bene da ciò che è male; il vero dal falso. Senza per questo voler essere manichei a tutti i costi, ma anche senza cedimenti. Essere tiepidi è senz’altro male: non esporsi, non prendere posizione, ma soprattutto non voler conoscere e rifiutarsi di comprendere è male. Anche essere perfettamente convinti di possedere la verità assoluta è sicuramente male. Occorre quindi discernimento e coraggio. Ma anche umiltà.

Cosa farsene dunque del sagrato della Chiesa Madre di Sortino, con coraggio e umiltà? Non mi rivolgo, come si potrebbe istintivamente supporre, a chi ha come proprio compito — ancorché a vario titolo — la tutela dei beni culturali, come la Soprintendenza, la Regione Sicilia, lo stesso Comune di Sortino. Non certo in prima battuta.

Mi rivolgo anzitutto ai cittadini. Particolarmente ai cittadini di Sortino e in senso stretto a quei cittadini che ne ignorano persino l’esistenza, perché non hanno alcuna consapevolezza del valore storico e artistico che indubbiamente possiede questo straordinario manufatto. Faccio appello alle coscienze di chi ne attraversa regolarmente le fantasiose geometrie, ma non le guarda neanche; a chi lo guarda ma solo distrattamente, o semplicemente vi passa accanto, senza rendersi conto che il sagrato della chiesa madre di Sortino sia un’autentica opera d’arte, anzi un capolavoro che esiste e nonostante tutto resiste da oltre duecento anni. Ciò che ferisce più di ogni altra cosa è l’indifferenza, perché l’indifferenza è deleteria: altera gli affetti e distrugge i manufatti. Bisognerà quindi che ciascuno se ne renda conto e che esca per una volta dal proprio naturale riserbo. Se dunque si è convinti che la storia non abbia alcun valore e non sia di alcuna utilità; se si è convinti che possiamo fare a meno dell’arte, considerata addirittura di nocumento rispetto al normale svolgimento delle faccende quotidiane, allora è segno che del sagrato non solo se ne possa fare a meno, ma che anzi sia necessario sbarazzarsene al più presto e fare posto ad altro. Magari a un parcheggio o a un parco giochi. Si accettano suggerimenti, purché coraggiosi e pieni di fantasia. Perché se fare finta di niente è molto poco onorevole, fingere interesse è del tutto disdicevole. Quel che è certo è che abbandonare il sagrato a un lento decadimento, come sta accadendo ormai da decenni, lascare che svanisca definitivamente e irrimediabilmente, senza intervenire per arrestarne il degrado, è colpevole inerzia e codarda noncuranza. La prima cosa da fare e la più concreta è allora conoscere, diversamente è davvero impossibile capire cosa fare e come farlo. È cioè necessario rendersi conto se sia il caso di intervenire a tutela del sagrato, perché ha valore, rilievo, utilità, oppure se non sia il caso di cancellare definitivamente questo spazio e con esso il retaggio della cultura che l’ha prodotto e che rappresenta.

Particolare chiesa madre sortino

Secondo il parroco Gurciullo il sagrato della Chiesa Madre di Sortino è stato ultimato nel 1784 ed è quindi uno degli ultimi frutti dell’architettura tardobarocca. È un mosaico che occupa uno spazio di oltre 1500 mq, decorato a figure geometriche e realizzato con il materiale più umile, ossia da ciottoli di fiume bianchi e neri. Si tratta in effetti di un esempio di pavimentazione che è tipica della Liguria, dove viene chiamato rissêu (rissò), che quindi ha influenzato a suo tempo sia in fase di progettazione sia in fase di realizzazione il progetto del sagrato sortinese. Le figure geometriche rappresentate sono inoltre il frutto di influenze della tradizione cosmatesca e precosmatesca, bizantina e araba, di ascendenza mediorientale, che affonda quindi le sue radici nell’antichità. Una pavimentazione simili esiste, per esempio, nella città di Pella, dove c’è per l’appunto uno splendido pavimento in ciottoli. Ci sono poi alcuni altri esempi di pavimentazioni simili che risalgono allo stesso periodo, a Lentini, a Ferla, nel cortile di palazzo Beneventano a Siracusa, nel cortile del palazzo Centrale dell’Università di Catania, nel cortile del Collegio dei Gesuiti di Catania. Particolarmente rilevante, il legame tra il sagrato sortinese e quello di Lentini. Il sagrato sortinese rimane comunque un’opera unica nel suo genere, nonostante le influenze e le affinità con altri manufatti, perché geometricamente molto ben congegnato e per la complessa e stratificata narrazione che se ne può desumere.

Il sagrato per sua natura distingue e collega perfettamente due ambiti ben precisi: lo spazio mondano della città dallo spazio sacro della chiesa ed è quindi uno spazio sacro esso stesso. Naturalmente non fa eccezione il sagrato sortinese: il suo perimetro è ben delineato e perfettamente riconoscibile, puntellato da alcune colonne sormontate da pigne beneauguranti. È cornice alla chiesa madre, ma ha anche un valore in sé non indifferente. Originariamente gli ingressi dovevano essere due: una scalinata purtroppo rimaneggia nel lato sud (via Municipio) e una gradinata nel lato nord, anche questa parzialmente manomessa (via Principe di Piemonte). Il sagrato risulta poi perfettamente allineato lungo l’asse est-ovest, conformemente all’allineamento della chiesa. Una rosa dei venti posta di fronte all’ingresso principale ne rende intelligibile l’orientamento. Molti altri segni sono stati rappresentati nel sagrato: il cerchio, il punto, il centro, la croce, l’onda, il quadrato, il rombo, l’uovo e numerosi altri. Ognuno di questi segni ha tanti significati storicamente attestati, ma acquista uno o più significati in relazione al contesto generale della rappresentazione e alla posizione che occupa in rapporto agli altri segni e al valore ad essi attribuito da coloro che li hanno realizzati. Ma non basta, perché trattandosi di segni, il cui portato è una narrazione per via analogica (non razionale), il loro significato può subire anche significative variazioni in ragione di chi osserva. Insomma, entro certi limiti, il messaggio veicolato da questi segni è negli occhi e nella cultura di chi li osserva.

 

È quindi evidente che numerose e pressanti siano le domande che quest’opera suscita; domande di ordine storico, sociale, artistico, politico. Quali erano i rapporti tra la famiglia Gaetani e la Chiesa, in modo particolare con la Chiesa locale e con il parroco? Quali erano i rapporti tra la famiglia Gaetani e la popolazione di Sortino? Qual è il valore artistico, sociale, politico del sagrato? Ma soprattutto, come interpretare i segni, siano essi simboli, emblemi, allegorie, che costituiscono questo spettacolare mosaico? Quale storia hanno voluto raccontare la committenza con il prezioso apporto delle maestranze? Che interpretazione ne possiamo dare noi cittadini del XXI secolo? E da ultimo, la considerazione che appare ineludibile: bisognerà una buona volta decidere a quale santo votarsi; stabilire con certezza cosa farsene del sagrato della chiesa madre di Sortino. E mi rivolgo questa volta a chi ha il preciso dovere di intervenire, alla Soprintendenza, alla Regione Sicilia, al Comune di Sortino. Il sagrato ha già subito perdite, rimaneggiamenti, maltrattamenti, umiliazioni.

Con coraggio e umiltà possiamo dire che la sua totale, immediata e consapevole distruzione sia senz’altro da preferirsi ad ulteriori anni di oblio e incontrollabile disfacimento, alle deiezioni dei cani, alla protervia di coloro che utilizzano il sagrato come una porcilaia.[/vc_column_text][vc_text_separator title=”Massimiliano Magnano”][/vc_column][/vc_row]

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