L’intervento di Nino Sutera, Coordinatore Nazionale Borghi DeCo. “Errato confonderle con DOP e IGP. Le Denominazioni Comunali sono strumenti di marketing territoriale e salvaguardia identitaria, non certificazioni qualitative”
“La De.Co. non è un marchio, né uno strumento di tutela sovrapponibile alle denominazioni europee”. A fare chiarezza su un tema spesso oggetto di confusione è Nino Sutera, Coordinatore Nazionale dei Borghi DeCo.
Erroneamente, si tende a equiparare la Denominazione Comunale (De.Co.) ai marchi di qualità o alle denominazioni istituzionalizzate come D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta) o I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta). In realtà, la De.Co. è qualcosa di profondamente diverso e attiene all’identità di una comunità, non alla certificazione tecnica di un prodotto.
La posizione del Ministero e dell’UE
La legittimità del “marchio” De.Co. è stata a lungo dibattuta. Già nel 2004, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MIPAF) ribadì il dissenso verso l’istituzione di marchi comunali che tentassero di attestare l’origine in modo analogo alle norme comunitarie (Reg. CEE n. 2081/92).
L’Unione Europea è chiara: solo le procedure DOP e IGP sono legittime per certificare il nesso tra qualità e origine geografica. Qualsiasi altro “marchio” locale che ponga barriere o crei confusione rischia di porsi in contrasto con il divieto di ostacolare le importazioni (art. 28 Trattato CE) o con le norme sugli aiuti di stato.
La svolta di Alessandria: la De.Co. come censimento
Dunque, cos’è la De.Co.? La risposta arriva dalla svolta del 2005 (Convegno di Alessandria). Le Denominazioni Comunali non sono marchi di qualità, ma attestazioni anagrafiche.
“Sono certificati notarili contrassegnati dal Sindaco a seguito di una delibera Comunale – spiega Sutera – sono censimenti di produzioni che hanno un valore identitario per una comunità”.
Non servono disciplinari di produzione rigidi che scimmiottano le normative europee. La De.Co. è uno strumento flessibile per valorizzare le risorse della terra, garantire la biodiversità e creare vantaggi sul piano turistico ed economico. È il passaggio dal generico “prodotto tipico” al “prodotto del territorio”.
Come ricordava l’allora Ministro Gianni Alemanno: “Le De.Co. […] debbono essere uno stimolo, una semplice delibera, che non fa riferimento ad aspetti qualitativi […] ma che censisce, in un dato momento storico, un bene identitario legato all’artigianità o alla vocazione agricola di un Comune”.
Un atto politico per il marketing territoriale
L’idea, nata dall’intuizione di Luigi Veronelli, parte dal basso. Se un prodotto è originario ed esclusivo di un comune, l’amministrazione ha la facoltà (supportata dalla Legge Costituzionale n. 3/2001) di rilasciare una dichiarazione che ne attesti la provenienza.
“La De.Co è un atto politico, nelle prerogative del Sindaco, per difendere e salvaguardare l’identità del territorio”, continua Sutera.
A livello puramente economico, la De.Co. non porta benefici diretti automatici. Tuttavia, se ben utilizzata, diventa un potente strumento di marketing territoriale. Serve a dare un nome e un cognome ai prodotti, a renderli riconoscibili ai turisti e a rafforzare l’autocoscienza dei cittadini.
Il percorso “Borghi GeniusLoci De.Co.”
Su queste basi si fonda il percorso Borghi GeniusLoci De.Co, inserito tra gli esempi virtuosi nel Forum Italiano dei Movimenti per la terra e nell’Atlante nazionale del cibo.
Il modello si basa su cinque pilastri fondamentali, le “5 T”:
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Territorio
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Tradizioni
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Tipicità
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Tracciabilità
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Trasparenza
“Attraverso una semplice delibera il Sindaco certifica la provenienza di ogni prodotto della sua terra”, concludeva Veronelli. Mentre DOP e IGP sono atti tecnocrati indispensabili per i mercati globali, la De.Co. è l’atto d’amore di una comunità verso le proprie radici.










