Ogni 31 dicembre, allo scoccare della mezzanotte, il cielo si accende di luci colorate e le città risuonano di botti; pochi però si fermano a chiedersi da dove arrivi questa abitudine rumorosa che accompagna l’inizio dell’anno
Le origini vanno cercate lontano, sia nel tempo che nello spazio. I primi rudimentali fuochi d’artificio nascono nella Cina antica, dove già tra le dinastie Han e Tang si gettavano bastoncini di bambù nel fuoco: il legno, surriscaldandosi, esplodeva producendo un forte boato, considerato efficace per spaventare spiriti maligni e forze negative. Con la scoperta e la diffusione della polvere da sparo, questi esperimenti si sono trasformati in veri e propri ordigni esplosivi e, poi, in fuochi d’artificio pensati per la festa e per il culto.
L’idea di fondo, condivisa da diverse culture, è semplice: il rumore forte e improvviso mette in fuga ciò che è maligno e porta via le sfortune. Accendere botti e fuochi nella notte di passaggio dal vecchio al nuovo anno diventa così un gesto simbolico potente: si “rompe” il tempo che è stato, si spezza la continuità con il passato e si apre, con fragore, uno spazio nuovo da riempire di desideri e buoni propositi.
Nel corso dei secoli i fuochi d’artificio hanno viaggiato lungo le rotte commerciali tra Oriente e Occidente, arrivando prima alle corti europee come spettacolo per incoronazioni e grandi cerimonie, poi alle feste popolari. In Italia, come altrove, l’uso di “fare rumore” a Capodanno – con pentole, campane, colpi in aria e, in tempi più recenti, petardi e batterie pirotecniche – si è consolidato come rito collettivo per salutare l’anno che viene.
Oggi però la tradizione dei botti è al centro di un grande dibattito. Alle antiche credenze si affiancano i dati su incidenti, feriti e danni causa da esplosivi improvvisati o usati in modo scorretto, tanto che ogni anno istituzioni e associazioni lanciano campagne per un Capodanno “più sicuro”. Cresce anche la sensibilità verso gli animali domestici e selvatici, che subiscono in modo particolarmente traumatico i rumori improvvisi, e verso l’inquinamento ambientale prodotto da fumi e residui dei fuochi.
In molte città italiane si sono diffusi spettacoli pirotecnici controllati o eventi con giochi di luce, droni e musica, pensati per mantenere il fascino del cielo che si illumina riducendo al minimo rumore e rischi. La direzione sembra quella di conservare il cuore simbolico della tradizione – la voglia di celebrare insieme un nuovo inizio – lasciando alle spalle, almeno in parte, la componente più pericolosa e incontrollata dei botti fai-da-te.
Resta però immutata la ragione profonda che lega fuochi e fine anno: l’umanità, in ogni epoca, ha sentito il bisogno di segnare il passaggio del tempo con gesti forti, visibili, memorabili. Che sia un boato nel cielo o un applauso in piazza, il Capodanno continua a essere il momento in cui si prova, per qualche minuto, a fare abbastanza rumore da zittire le paure e dare spazio, almeno simbolicamente, alla speranza.









