Giacomo Leopardi (Recanati, 1798 – Napoli, 1837) è uno dei nomi più noti della scena poetica italiana dell’800 e della letteratura europea in generale.
Il suo nome è spesso associato a L’infinito, la sua poesia più celebre, e al romanticismo e al classicismo, correnti letterarie a cui il poeta diede in misura diversa il suo contributo, pur ritenendosi (nel suo Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica) più vicino alla tradizione classicista.
Il pensiero di Leopardi è spesso ricondotto al termine “pessimismo”, e la sua evoluzione scansionata in pessimismo storico e cosmico. Ma non bastano queste classificazioni per esprimere la profondità e l’ampiezza delle sue riflessioni, che dimostrano una maturazione poetica complessa, un grande intelletto e un fine ragionamento filosofico.
Leopardi è stato in grado di descrivere non solo la propria interiorità e la propria condizione, ma quella dell’essere umano in generale, divenendo così non solo poeta tra i più rilevanti e citati, ma anche importante filosofo.
E questa duplice natura è forse maggiormente rappresentata da L’infinito, opera scritta da Leopardi durante la sua giovinezza (si fa risalire infatti al 1819), che introduce alcuni degli elementi successivamente ripresi dalla sua poetica.
L’infinito di Leopardi: analisi e parafrasi
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
L’infinito di Leopardi è composto da 15 endecasillabi sciolti, cioè non legati da rime. All’interno di questi versi il poeta affronta numerose sensazioni, percettive ed emotive, che possono direzionare la nostra analisi.
Per la parafrasi completa de L’Infinito (a cura di Gigi Cavalli), si rimanda al sito della Treccani.
La poesia può essere scissa in due parti: nella prima ci vengono presentate la “collina solitaria” e la siepe, l’ostacolo visivo che impedisce di osservare “gran parte dell’estrema linea dell’orizzonte”. Questo impedimento porta il poeta a lasciare la dimensione della realtà per passare al piano dell’immaginazione, figurandosi “spazi sterminati, e silenzi non concepibili dalla mente umana, e una quiete profondissima” che quasi lo lasciano sbigottito. Nella seconda parte, Leopardi è riportato nel piano della realtà dal rumore del vento tra le fronde degli alberi, una percezione (questa volta acustica), che il poeta compara al silenzio sovraumano dell’infinito spaziale, giungendo con il pensiero a cogliere anche un’infinito temporale, l’eternità, fatta dalle “epoche passate e ora scomparse” e del “tempo attuale, presente, vivente”
Se fino a questo momento i due piani (quello della realtà e quello dell’infinito) erano stati ben distinti e separati dall’uso degli aggettivi dimostrativi “questo” (attribuito alla realtà vicina) e “quello” (attribuito all’infinito lontano), l’ultimo verso, tra i più famosi dell’intera storia della letteratura, recita: “Così tra questa immensità s’annega il pensier mio:/ e il naufragar m’è dolce in questo mare”. Al termine della lirica, quindi, il poeta si ritrova non solo più vicino all’infinito, ma vi si abbandona dolcemente.
Leopardi costruisce attentamente il suo componimento, con l’obiettivo di evocare la sensazione di vastità da lui vissuta: sul piano lessicale utilizza termini vaghi e indefiniti come “ultimo orizzonte” e “interminati spazi“, su quello sintattico fa prevalere il polisindeto e la coordinazione, dilatando il ritmo, e infine sul piano metrico fa frequente uso dell’enjambement, una figura retorica che, spezzando il verso, rende la poesia di più ampio respiro.
Leggendo questa lirica riusciamo così a rivivere le stesse emozioni provate dal poeta, anche a distanza di secoli. Possiamo percepire tutta la potenza dell’immaginazione, il piacere di questo dolce naufragio, ma anche lo sgomento che provoca il pensiero di una realtà così vasta, di un’eternità che scorre senza interruzioni, legando il passato al presente, e il presente al futuro.