[vc_row][vc_column][vc_text_separator title=”Convivio, a cura di Mario Blancato”][vc_text_separator title=”II Parte”][vc_column_text]Sul rifornimento di acqua potabile, dai primi anni del Novecento ebbero inizio gli studi per migliorare il servizio. In tale direzione si distinse l’ingegnere Salvatore Inserra il quale, con una dettagliata relazione tecnica, criticò duramente il progetto precedente fondato sull’utilizzazione dell’acqua proveniente dalle fonti Acquavecchia e Lardia e propose la individuazione di nuove sorgive. Le amministrazioni terranno conto delle proposte, ma non si riuscì a trovare una soluzione alla carenza d’acqua.
Nel 1924 l’ingegnere Roberto Melotti elaborò un progetto per l’utilizzo delle sorgenti Roccalta-Ceusa, che distavano circa 16 Km dal centro abitato. Lo stesso Melotti dovette modificarlo, optando per la sorgente Grottavide. Alla nuova conduttura, realizzata tra il 1926 e il 1927, si aggiunse anche l’utilizzo della sorgente Canali. Mollica riconosce che «la realizzazione degli acquedotti Grottavide-Ceusa e Canali fu sicuramente di grande beneficio per il rifornimento idrico del paese» (p. 221) e attribuisce un ruolo fondamentale all’attivismo amministrativo del podestà Giuseppe Desanctis. Proprio in quel periodo si realizzò la concessione di acqua potabile ai privati con il passaggio dal prezzo forfettario all’uso del contatore. Si trattava dell’introduzione di una nuova tecnologia che, sul modello adottato da molte città in Italia e in Europa, segnò una forte innovazione nella modalità di utilizzo delle risorse idriche.
Per le elevate spese di impianto e per l’insufficienza dell’acqua disponibile, la fruizione del servizio fu limitata alle abitazioni della zona centrale del paese e, naturalmente, alle famiglie più abbienti. Per circa un ventennio il servizio idrico non subì modifiche. Solo nel Secondo dopoguerra, tramite un finanziamento favorito dall’intervento dell’onorevole CorradoTerranova, si realizzò un nuovo acquedotto. Ancora una volta, il rifornimento di acqua per la popolazione si rivelò insufficiente. Mollica, concludendo, attribuisce la soluzione del problema idrico all’amministrazione dell’avvocato Sebastiano Papa, durante la quale «fu ripristinato l’acquedotto Canali e furono acquistati due motori di sollevamento dell’acqua [dal fiume Ciccio]» (p. 223). La svolta si registrò con le trivellazioni attuate dalla società Idrosud che dagli studi sulla conformazione geologica del sottosuolo aveva rilevato l’esistenza di ricche falde acquifere. L’amministrazione comunale procedette all’acquisto di alcuni pozzi (Raduana e Albinelli) che, con la costruzione di un nuovo acquedotto, consentirono una soluzione definitiva per il rifornimento idrico.
Per “la città che sale” e vede crescere la popolazione, nonostante l’apparizione del fenomeno migratorio a partire dagli inizi del Novecento, un servizio strategico è quello dell’illuminazione. Anche nella ricostruzione di queste vicende Mollica fornisce al lettore una ricca documentazione e una valutazione tecnico-amministrativa, segnata da progressi e da battute di arresto. Subito dopo l’unificazione, Sortino aveva l’illuminazione a petrolio (circa cinquanta fanali). Di fronte all’urgenza di illuminare i nuovi quartieri si passò verso la fine dell’Ottocento all’impiego dell’energia elettrica, saltando la fase dell’illuminazione a gas. Il nuovo servizio fu proposto dalla “Società Elettrico Industriale Franco Italiana”, che
si impegnava a realizzare un opificio per la produzione elettrica necessaria al paese, utilizzando la sorgiva esistente a valle di Sortino, la cosiddetta Santa Sofia di fuori. Il contratto, stipulato nel 1895, prevedeva un impegno finanziario del Comune di lire 6.000 e la garanzia da parte dell’impresa di fornire energia elettrica, sistema Edison, per l’illuminazione pubblica e per l’abitazione dei privati.
Si trattava di un evento eccezionale. Sortino, come Siracusa e altre città del Meridione, ebbe l’illuminazione elettrica. L’impianto fu inaugurato nel 1896, ma un anno dopo esso fu acquistato dall’impresa locale Sebastiano La Rosa e Giovanni Serges. Il rapporto contrattuale dell’impresa con l’amministrazione comunale si rilevò complesso e contrassegnato da un lungo contenzioso. Di fronte alle enormi spese previste, si valutò la possibilità di avviare la municipalizzazione del servizio. Come è noto, già la legge comunale del 1888 aveva previsto la gestione in economia di alcuni servizi comunali. La successiva legge del 1903 (la legge Majorana) regolava la creazione delle municipalizzate, le quali dovevano assicurare, in regime di monopolio e di concorrenza, la fornitura di beni essenziali alla popolazione. Lo scopo era quello di eliminare le speculazioni e di fornire a costi ridotti servizi essenziali per la popolazione (gas, energia elettrica, trasporti, nettezza urbana, asili ecc.).
Per la realizzazione dell’azienda municipalizzata i tempi furono lunghi e non si raggiunsero gli obiettivi prefissati. Nel 1915 gli amministratori locali avviarono le pratiche per il riscatto, ma l’impresa fece ricorso alle vie legali. Il Consiglio comunale su questo delicato problema si trovò unito (maggioranza e opposizione) per trovare un accordo transattivo. Nei fatti, quantificata l’indennità del riscatto, il Comune rimase soccombente nei giudizi espressi dal Tribunale Civile di Siracusa e dalla Corte di Appello di Catania. La vicenda, come evidenzia Mollica, si concluse nel 1937 con un nuovo appalto, preparato dall’ingegnere Alfredo Maugeri di Siracusa. Non passò il progetto della municipalizzazione. D’altra parte, secondo studi recenti, il fascismo scoraggiò e annullò le iniziative di molte amministrazioni nel settore delle municipalizzate.
Mollica dedica una parte del volume alla costruzione della ferrovia Siracusa-Vizzini. Completato il collegamento viario delle principali città della Sicilia, una legge degli inizi del Novecento sancì la possibilità di costruire le cosiddette ferrovie secondarie. Le élites provinciali dell’epoca individuarono in questo asse di supporto lo strumento per collegare alcuni paesi con il porto di Siracusa. L’opera, quindi, presentava una notevole importanza per il trasporto dei prodotti agricoli e per la valorizzazione della necropoli di Pantalica, dal momento che la ferrovia era costruita lungo il fiume Anapo. Sortino, che finalmente poteva essere collegata con il capoluogo provinciale, aderì al Consorzio, presieduto dall’onorevole Pasquale Libertini. Iniziati i lavori nel 1912, il primo tronco Siracusa-Solarino fu inaugurato nel 1915, mentre la parte successiva fu completata nel 1923. Soppresso il servizio nel 1956 ed eliminati i binari, il tratto stradale resta uno strumento per la valorizzazione di un territorio di ineguagliabile valore paesaggistico, naturalistico e archeologico.
Con i processi legati alla sistemazione urbanistica e alla costruzione delle infrastrutture si intrecciano la lotta politica e la formazione delle élites. Mollica afferma che questo tema non rientra nella ricerca. Tuttavia, i pochi riferimenti contenuti nel volume ci consentono di cogliere alcuni mutamenti avvenuti nell’arco di un secolo. Credo che il dato più rilevante si possa individuare nelle riforme amministrative introdotte dai Borbone agli inizi
dell’Ottocento, che comportarono il passaggio di Sortino da città feudale, governata dalla famiglia Gaetani, a centro autonomo (va ricordato che Mollica ha in parte analizzato, con particolare interesse storiografico, queste vicende nel volume Andrea Gurciullo, Fatti e vicende di Sortino antica).
Con il nuovo ordinamento giuridico, il potere locale fu gestito dalla ristretta cerchia dei cosiddetti “civili” (proprietari e professionisti), impegnati nello scioglimento delle terre promiscue (la parte spettante ai Comuni dopo l’abolizione del feudalesimo), nel controllo delle cariche amministrative e del ricco patrimonio boschivo e nella riscossione delle imposte (in particolare il dazio di consumo). Tramite l’inserimento nelle liste degli eleggibili, dalle quali erano scelti gli amministratori, solo alcune famiglie, molto spesso imparentate tra loro, ricoprirono le cariche più importanti (dal sindaco ai membri del Decurionato). Sebastiano Pisano Baudo, il cui volume è ancora utile per la storia di Sortino, elenca le principali: Astuto, Rigazzi, Vinci, Matera.
Nella partecipazione politica e amministrativa vanno colte alcune novità dopo la riforma della legge comunale del 1888, che allargava l’elettorato amministrativo a tutti quelli che sapevano leggere e scrivere e rendeva elettiva la carica di sindaco. Si può ritenere che agli inizi del Novecento (ma occorrono ricerche più puntuali), con la crescità dell’associazionismo e dell’elettorato, nuove élites entrarono in competizione per la gestione del potere locale. Le lotte fazionali si acutizzarono, assumendo talvolta forme aspre e al limite della legalità. A tal proposito, Mollica, agli inizi della terza parte, ricostruisce la lotta tra la famiglia Astuto (Vincenzo e Francesco occuparono la carica di sindaco in quel periodo) e Antonino Desanctis, capo dell’opposizione.
Nell’estate del 1904, la situazione politico-amministrativa degenerò a tal punto che, in occasione del sorteggio di 1/3 dei consiglieri (la legge elettorale prevedeva che ogni biennio sette consiglieri su venti dovevano lasciare il Consiglio comunale ed essere sostituiti tramite una elezione parziale), si arrivò quasi allo scontro fisico. Il consigliere Desanctis avanzò il sospetto che le schede per il sorteggio fossero state manipolate in modo tale da eliminare gli esponenti dell’opposizione. Informata la prefettura sulla vicenda, si dovette ripetere il sorteggio alla presenza di un Regio commissario che assicurò la regolarità della procedura con l’inserimento dei nomi all’interno di buste uniformi. Le elezioni parziali sancirono la vittoria dell’opposizione e la parità dei consiglieri. Le divisioni, ormai insanabili all’interno del Consiglio comunale, portarono alla nomina di un commissario prefettizio, il cav. Ermete Gotti, che gestì l’amministrazione fino alle elezioni del 13 giugno 1905.
Per quel che riguarda la lotta politica, le novità più interessanti si registrarono dopo la Prima guerra mondiale con la nascita dei partiti di massa. Gli effetti della guerra non si esaurirono nella tremenda distruzione di vite umane. Essa rappresentò una grande esperienza mai vissuta fino ad allora e agì come acceleratore della nazionalizzazione delle masse, che comincarono ad associarsi nei nuovi partiti politici. Anche a Sortino furono molto attivi i combattenti, i popolari e i socialriformisti. Durante le elezioni amministrative del 3 ottobre 1920, svolte con il suffragio universale, protagonisti furono i nuovi partiti, all’interno dei quali continuarono a operare le tradizionali élites. Le elezioni furono vinte dai socialriformisti, come avvenne in molti centri della provincia di Siracusa.
Dai pochi dati forniti da Mollica, sui quali bisognerebbe innestare ulteriori ricerche, si evincono gli scontri tra i sostenitori della nuova amministrazione, guidata da Giuseppe Desanctis (doveva essere, con molta probabilità, il figlio di Antonino Desanctis), e dalle vecchie élites. La vicenda terminerà con lo sciglimento del Consiglio comunale. Formatosi il governo Mussolini, la classe dirigente del piccolo centro ibleo si iscriverà, tranne poche esclusioni, al partito nazionale fascista. Non mancarono durante il lungo periodo della dittatura, come dimostrano studi recenti, le lotte fazionali (il cosiddetto “beghismo”). Proprio in quel periodo, alla guida dell’amministrazione troveremo, con la riforma podestarile del 1926 che annullava il sistema elettivo, i rappresentanti delle élites tradizionali: il podestà Giuseppe Desanctis e il podestà Luigi Astuto. Mollica fornisce pochi assaggi su questo periodo come sul dopoguerra, segnato dal ritorno dei partiti di massa e dalle amministrazioni democratiche. È auspicabile che l’autore, per la sua competenza, possa tornare su questi temi che ci consentirebbero di conoscere le trasformazioni economiche, sociali e amministrative avvenute nella seconda metà del Novecento con l’avvento della Repubblica italiana.
Alcune considerazioni vanno fatte, a conclusione di questa recensione. I conflitti, fazionali o politici, esprimevano il modo di intendere, di progettare e di operare nella realtà sociale tramite una fitta rete di intrighi, di passioni e anche di attaccamento al bene comune. Pur richiamandosi sempre alla più vasta vita nazionale, i protagonisti furono spesso condizionati da quel piccolo mondo provinciale. Macrocosmo e microcosmo si intrecciavano sempre, ieri come oggi. Nella storia piccola come nella grande, la gestione del potere si presenta con le stesse caratteristiche: la realizzazione di interessi personali o di fini generali (talvolta, gli uni e gli altri si intrecciano). Lo storico deve sempre cogliere questa doppia spinta e analizzare la progettualità e le realizzazioni concrete. Nell’ambito di questo quadro va collocata la modernizzazione difficile della nostra comunità.
«La storia ci fa rivivere il passato e ci aiuta a capire il presente». A questa massima si richiama l’autore, il quale ricostruisce e racconta, con uno stile chiaro, con la passione civile del cittadino e con lo scrupolo analitico dello studioso, il lungo cammino per la realizzazione di servizi essenziali del piccolo centro ibleo. L’attuale amministrazione, patrocinando la pubblicazione del volume, ha consentito di conoscere i tratti identitari della nostra comunità. A partire da questo momento gli storici non potranno fare a meno del contributo di Mollica per le future ricerche. La cittadinanza prenderà consapevolezza dei vecchi e dei nuovi problemi sulla via della modernizzazione difficile, nonostante i risultati raggiunti, mentre i giovani potranno familiarizzare con i meccanismi amministrativi, trovando in questo volume gli elementi necessari e, forse, indispensabili per una partecipazione politica consapevole.[/vc_column_text][vc_text_separator title=”Giuseppe Astuto “][/vc_column][/vc_row]