Aggiornato al 21/11/2020 - 15:05

…Ode alla canzonacce, alle campanelle di Chuck  al fiore di Carosone, al serpente di Donatella…

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… e non dite poi che io sono volgare (cioè ovviamente lo sono ma non sono il solo) perché ci sarà una ragione se praticamente l’inventore del Rock’n Roll, Chuck Berry, uno che ha scritto “Johnny B. Goode”, “Maybellene” e “Roll Over Beethoven”, sia stato n. 1 in classifica solo una volta e con una song che non era tanto rock ma assai canzonaccia, My ding-a-ling”, quella che lui ha definito la sua “alma mater”, che si sente in lontananza anche, nientedimeno che, in Apocalypse Now, canzoncina in cui il vecchio Chuck racconta di due campanelle d’argento legate con un nastrino che sua nonna gli aveva regalato quando era bambino e che lui da allora si portava sempre con se e invitava le ragazze a giocare con le sue dingaling e, pensate un po’, ci fu chi trovò un certo doppio senso nel testo e nel fare ammiccante di Chuck quando la cantava, gente arida e viziosa nell’anima, come quelli che fecero censurare dalla BBC la canzoncina della “Starland vocal band” che raccontava come era inutile attendere la sera se si potevano gustare le Afternoon delight”, le delizie del pomeriggio, che comunque poi questa cosa delle canzoni a doppio senso non è solo degli anglofoni perché noi italiofoni ne abbiamo assai e io (che sono sempre volgare ma non il solo) le apprezzo particolarmente, sia antiche che moderne, cominciando da quella che forse è la madre di tutte le canzoni ammiccanti (cioè più raffinate delle canzonacce da caserma tipo “buona sera signor oste” o “io le toccai i capelli”) che è la famosa “Pansè”, portata al successo da Carosone, che contiene gli immortali versi che tutti conosciamo bene, “Che bella pansé che tieni / che bella pansé che hai / me la dai? Me la dai? Me la dai la tua pansé?”, e solo dei bigotti hanno potuto trovare in questo autentico florilegio un subtesto volgare, come del resto mi indigna che venga trivialmente frainteso il testo inquieto del mitologico Kobra della Rettore che, notoriamente non è un serpente ma “un pensiero frequente che diventa indecente”, è “un blasone di pietra e di ottone, è un nobile servo che vive in prigione”, è, come dire, uno stato d’animo che si “snoda, gira, inchioda e chiude la bocca, stringe e tocca”, è insomma una creatura fantastica dello spirito, un po’ come quei cani della “Bloodhound Gang” (non li sto insultando, il nome della band è una razza di cani, appunto i Bloodhound o Chien de St.

Hubert) che si misero, appunto, delle maschere da sedugi nel video, della loro canzone più celebre, “The bad touch” (352 milioni di visualizzazioni su youtube), song in un certo senso “ecologica” che invita a seguire la natura, nel suo memorabile ritornello che fa “you and me baby ain’t nothin’ but mammals (io e te baby non siamo altro che mammiferi) So let’s do it like they do on the Discovery canne (quindi facciamolo come lo fanno loro su Discovery channel) e voi potreste dire che questa non è proprio a doppio senso, ma è perché siete malpensanti che altre sono le canzoni esplicite incise in lingua inglese, cercate “canzoni sul sesso in inglese” su google e vedete quante ne trovate, tipo, per capirci la romantica Friggin’ in the riggin‘,  dei Sex Pistols, rielaborazione di una canzone marinara con un titolo che può essere tradotto (ingentilendolo un po’) “scopando fra le vele”, anche se ce ne sono invece tante altre davvero raffinate, oltre che musicalmente splendide, che parlano di sesso e di desiderio (e penso alla inarrivabile Sexual Healing di Marvin Gaye o alla bollente I’m on fire di Bruce Springsteen) (un’altra volta, quando imparerò a scrivere bene, lo farò un pezzo mettendo in parallelo canzoni e i relativi video di Sexual Healing e di Addicted to Love di Robert Palmer che raccontano in qualche modo la stessa urgenza e che fanno un uso analogo dei volti delle signorine diversamente sussiegose che da Marvin sono quattro ballerine coriste, da Robert tre chitarriste, una tastierista e una batterista) ma tornando alle canzonacce italiane un ruolo importante nel settore lo ha, e lo rivendica con orgoglio, Renzo Arbore che portò il suo Clarinetto, storia inquieta di un musicista frainteso, ad un passo dalla vittoria a Sanremo, e ribadì l’inclinazione goliardica con “Smorza e lights” che narra di un problema tecnico che ostacolava l’amore, ma ovviamente in questo campo giganteggiano loro, gli Squallor, creatori di personaggi e modi di dire epici entrati ormai nell’immaginario collettivo e nel lessico nazionale (basti pensare a Berta, al piccolo Pierpaolo, al “38 luglio”, all’appenino tosco-cubano, a “ma chi sei Pinochet?”, a “passami lo spillon Fernando”, agli “spettatori circa tre”, a Santanna e Liquigas, al “corteo dei miliardari non autorizzato”) e poi scendendo per li rami non ci siamo fatti mancare “America” della Nannini, la deliziosa “A Dean Martin” di Fabio Concato, e, scendendo molto, il celebre “Triangolo” di Renato Zero e, risalendo, le sfacciate “Colpa d’Alfredo” di Vasco e la irripetibile “Disperato, erotico stop” di Dalla, e poi, svicolando verso il serio-sensuale, non possiamo dimenticare “L’Importante è finire” di Mina, all’epoca censuratissima (ma la signora Mazzini in questo campo ci ha regalato la perla esplicita “Carlo detto il Mandrillo”) o il “Pensiero Stupendo” di Patty Pravo e a chiusura trivialissima di questo illeggibile e scabroso pezzo non posso esimermi dall’evocare un capolavoro del genere, “El Pube” di Elio e le Storie Tese, odissea commercial-sentimentale di un “piazzista volante” che vendeva il lube, “pomatone anal”, canzone geniale, sommamente volgare e quindi da me apprezzatissima…

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