La conferenza “Dentro l’abisso. Una riflessione sull’opera di Fedor Dostoevskij”, svoltasi presso la “Casa del libro Mascali” (di Marilia Di Giovanni) e curata da Peppino Ortoleva – già professore di Storia dei mezzi di comunicazione all’Università degli Studi di Torino – ha messo in evidenza la natura ombrosa dello scrittore, i cui scritti andrebbero letti considerando lo stesso quale “autore di fiction in prosa”
Il relatore, nell’annunciare l’imminente messa in onda del film “L’idiota” presso Biblios Caffè, nell’ambito di una rassegna curata da Giuseppe Briffa, si è soffermato, innanzitutto, sul concetto di romanzo come forma letteraria affermatosi nel ‘700 e che, come diceva il filosofo tedesco, Hegel, presuppone una realtà preordinata in prosa. La portata del romanzo non risiede nella forma poetica, ma in quel quid che, dato dall’autore, lo anima, e che fa notare al lettore elementi della realtà altrimenti fuggevoli. I personaggi dei romanzi, infatti, parlano e pensano come gli uomini in carne e ossa e, senza essere calati nel mito o indirizzati dal fato, si costruiscono il loro destino.
La lettura di Dostoevskij, ha avvertito Peppino Ortoleva, deve esulare dalle prospettive ideologica e filosofica, perché: Dostoevskij era antisemita, rivoluzionario e la visione cristiana gli serviva più per condannare che per redimere; Dostoevskij era deboluccio in filosofia, così come lo stesso ebbe ad affermare, ma non nell’amore che lo stesso nutriva per tale disciplina. La cifra di D. sta nel tirare fuori i lati più oscuri dell’umanità o del singolo individuo – che, tra l’altro, riflettono l’animo dell’autore – e calarli nella letteratura. Non a caso, i personaggi dell’autore russo, sempre più importanti della trama rapidissima e sfuggente, si assumono le loro responsabilità sino a finire dentro l’abisso della colpa, della malvagità, da cui cercano di salvarsi tramite la redenzione. Pur credendo nel libero arbitrio, l’autore di “Delitto e castigo” riteneva che lo stesso conducesse gli uomini verso il male e non in direzione del bene.
Nei romanzi di D., quasi tutti polifonici, i punti di vista e le coscienze dei personaggi finiscono per incrociarsi tra di loro, poiché si equivalgono. Oltre alla polifonia, un altro tratto distintivo dell’autore è la “Vertigine”, ossia la perdita di sé che rintracciamo, soprattutto, ne “Il peccatore”, il romanzo più autobiografico di D. e la cui lettura ci catapulta in un mondo sospeso tra l’onirico e il drammatico. “Per il mondo moderno – ha detto Peppino Ortoleva – D. è paragonabile a Dante nel Medioevo, per via di quel rapporto con il bene e il male di certe figure. Per D. però esistono soltanto l’inferno e piccoli scorci di Purgatorio”. : “È il diavolo a lottare con Dio e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini”. “Ma è appunto nella disperazione che si provano i piaceri più brucianti, specialmente quando senti fortemente che da quelle circostanze non c’è via d’uscita”.