Oltre il 60% delle famiglie siciliane nelle fasce di reddito più basse. In 15 anni persi 52mila contribuenti mentre il resto d’Italia cresceva. Il divario con il Nord si riduce ma resta ampio
PALERMO – La Sicilia resta tra le regioni più povere d’Italia. A confermarlo sono i recenti dati Istat elaborati su informazioni del ministero dell’Economia e delle Finanze, che fotografano un territorio ancora profondamente segnato da crisi economiche e disuguaglianze strutturali. Tra il 2008 e il 2023, l’Isola ha attraversato shock globali e pandemici, ma i numeri raccontano una difficoltà che affonda le radici in fragilità mai risolte.
Nel 2023 oltre il 60% delle famiglie siciliane si è collocato nelle fasce di reddito basso o medio-basso, un dato che contrasta drammaticamente con la media nazionale del 35%. Più di una famiglia su tre vive in condizioni di povertà assoluta o grave disagio economico: la percentuale raggiunge il 32,2% nella fascia più povera, quasi il doppio della media italiana.
Un divario che si riflette anche nella capacità di spesa e investimento delle famiglie, con ricadute dirette sulla qualità della vita e sull’accesso ai servizi essenziali, dall’istruzione alla sanità.
Mentre nel resto della penisola il numero dei contribuenti è cresciuto in maniera significativa, la Sicilia ha perso ben 52mila unità tra il 2008 e il 2023. Un dato che evidenzia non solo l’invecchiamento demografico, ma soprattutto l’esodo costante di lavoratori e giovani verso altre regioni o all’estero.
Nonostante l’ammontare totale dei versamenti fiscali nell’Isola sia cresciuto nel 2023, la differenza rispetto al 2008 si ferma a 1,9 miliardi di euro, appena il 3,8% della crescita nazionale complessiva. Un confronto con il Piemonte, regione con una popolazione simile, rende ancora più evidente il gap: in 15 anni il Piemonte ha registrato un incremento di oltre 3,5 miliardi di euro, partendo da una base annua di versamenti doppia rispetto a quella siciliana.
La pandemia ha accentuato le fragilità preesistenti. Nel 2021 le famiglie italiane percepivano un reddito medio netto di 33.798 euro annui, ma nel Mezzogiorno, e in particolare in Sicilia, i redditi erano circa un quarto più bassi rispetto al Nord-est del Paese.
Questo divario si riflette nel gettito Irpef nazionale, cresciuto tra il 2008 e il 2023 da 157 a 207 miliardi di euro, trainato principalmente dalle regioni del Centro-Nord. Tuttavia, qualche timido segnale di riduzione del gap emerge dai dati: nel 2014 la distanza tra i redditi delle Isole e quelli del Nord-est era del 33,9%, mentre nel 2023 il divario più ampio, tra Nord-ovest e Sud, si è ridotto al 26%.
Al Nord prevalgono famiglie con redditi più alti e una maggiore presenza nelle fasce medio-alte, mentre in Sicilia domina la fascia bassa, con redditi spesso insufficienti a garantire una qualità di vita dignitosa.
Il mercato del lavoro rappresenta un’emergenza particolarmente grave per i giovani siciliani. Nel 2023 il 27,9% dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni non studiava, non lavorava e non partecipava ad alcuna attività formativa: un dato che, pur in calo rispetto al 2019, resta 11,8 punti superiore alla media nazionale.
Ogni anno migliaia di giovani lasciano l’Isola alla ricerca di opportunità lavorative, impoverendo ulteriormente il tessuto produttivo locale e alimentando un circolo vizioso difficile da spezzare. La combinazione di redditi bassi, alta disoccupazione giovanile e povertà diffusa richiede interventi strutturali e mirati che vanno oltre le misure emergenziali.
Nonostante il quadro complessivamente critico, l’Isola ha mostrato qualche segnale di vitalità economica. Nel 2022 e nel 2023 il Prodotto interno lordo regionale è cresciuto più della media nazionale: +3,8% contro +3,1% nel 2022 e +3,9% contro +2,4% nel 2023.
Una performance che, tuttavia, non si è ancora tradotta in un miglioramento sostanziale delle condizioni di vita delle famiglie siciliane, a conferma che la crescita economica da sola non basta a colmare decenni di divari strutturali.
Il quadro tracciato dai dati Istat racconta una Sicilia dove crescere è più difficile, dove ogni crisi pesa maggiormente e dove il tessuto economico locale fatica a sostenere famiglie e giovani in cerca di futuro. Una sfida che richiede politiche di sviluppo di lungo periodo, investimenti infrastrutturali e un rinnovato impegno per trattenere e valorizzare il capitale umano dell’Isola.









