Lo spettacolo diretto da Pino Strabioli, con i testi di Costanza Di Quattro, celebra la canzone italiana degli anni ’20 e ’30. Un mix di suoni, canti e prosa che ha conquistato il pubblico attraverso emozioni e risate.
“Parlami d’amore”, portata in scena al Teatro Garibaldi di Avola – direttore artistico, Tatiana Alescio – è un’opera celebrativa di quella canzone d’autore che cullò gli anni a cavallo fra il 1918 e il 1940, quando la radio, utilizzata dal regime fascista per la sua propaganda, divenne riflesso della società civile e suo mezzo di evasione.
L’originale performance artistica di Costanza Di Quattro, per la regia di Pino Strabioli, con Mario Incudine e Antonio Vasta al pianoforte e alla fisarmonica, grazie a quel mix di suoni, canti e prosa ha stabilito col pubblico una connessione, la risata, lo svago che sottendono all’ emozione. All’inizio fu il fruscio, è la radio che nasce cento anni or sono, è una mano che cerca di sintonizzarsi sulla stazione giusta, per appagare l’udito e il cuore dell’uomo. Mario Incudine irrompe sulla scena, ha il piglio dell’attore consumato, la sua voce è armoniosa, non canta, fa teatro:”La banalità di certe melodie rispecchia l’istinto stupido dell’uomo; la musica, dove nulla è inventato, è l’unica verità che conosco ed in cui mi riconosco”.
E siccome ogni musica contraddistingue un determinato periodo storico – in quel tempo eravamo tutti fascisti e monarchici – dimenticammo perciò i diktat, le camicie nere, gli orrori, la guerra, suvvia, – si bisbigliava – “da quando c’è il duce si può dormire con la porta aperta”. Il repertorio musicale ha inizio con “Come pioveva”, la pioggia diviene simbolo del pianto, la base pianistica rimane intatta, l’arrangiamento è moderno, benedette quelle dissonanze che ne perpetueranno la fama in eterno. “Siamo figli delle canzoni che ascoltiamo” – tuona con la sua verve Mario Incudine – in passato, dunque, della nostalgia e dell’innamoramento, oggi della sfrontatezza, del tutto e subito, senza perdere un momento. “Bisogna stare alla larga da chi non piange e non canta”.
Saranno loro i brutti e cattivi? Ci chiediamo noi. Boh! Ma sappiamo tutti che il pianto lava e la musica incanta. Mario Incudine ci racconta dunque di come in Sicilia il funerale fosse teatro: le prefiche si lamentavano, prorompevano in un piano disperato; e c’è cu’ vuleva sapiri comu fu ca ‘u mischineddu murìu, e chi col defunto steso sul letto, talè pari ca ridi, ma mangiastivu vui? Perché in Sicilia si usa ancora ‘u mortu nto lettu, ‘u mangiari nto pettu. Le note con il superbo accompagnamento di Antonio Vasta si susseguono: “Tanto per cantar”, “Vidi o mari quant’è bello”, “Torna a Surriento” “Balocchi e profumi”, l’autentico cammeo dello spettacolo, l’argomento è tragico, ma l’uso della fisarmonica e il ritmo accelerato conferiscono un taglio caricaturale, una ballata di Paolo Conte sembra, l’effetto è niente male.
“La bellezza e l’ironia” salveranno il mondo, incalza Mario Incudine, che conclude con “Voglio vivere così col sole in fronte, e felice canto, beatamente”, mentre il pubblico canta, riservandogli un’ovazione, per l’artista una vera benedizione.
Grazie, Mario! Grazie, Antonio! Tutti noi vorremmo vivere così. Grazie ancora per le perle di saggezza, il vostro spettacolo è un sogno – si avveri o no – sentiamo già il profumo della primavera, di cui c’è un gran bisogno.