[vc_row][vc_column][vc_text_separator title=”Convivio a cura di Mario Blancato”][vc_column_text]
L’istituzione del Museo Archeologico di Lentini costituisce un esempio, forse unico, di quanto possa essere decisiva la volontà di una comunità civile di conservare le testimonianze archeologiche del proprio passato ed esporle nello stesso luogo del rinvenimento.
Il percorso che conduce all’apertura di un Museo Archeologico a Lentini è lungo e, volendo, se ne può far risalire la prima tappa agli inizi del XIX secolo. Sin dal 1820 il Municipio di Lentini era in possesso di due pregevoli vasi a figure rosse che rinvenuti nella vasta necropoli greca estesa a nord ella cittadina moderna (contrade Piscitello-Caracausi). I due vasi, due crateri a figure rosse del IV secolo a.C., erano a tal punto conosciuti e apprezzati da essere richiesti dal Ministro del Regno delle Due Sicilie per il costituendo Museo Archeologico di Palermo. Tuttavia, come racconta lo storico lentinese Sebastiano Pisano Baudo (Storia di Lentini antica e moderna, Lentini 1898-1902) le resistenze locali all’esposizione dei vasi lontano dal luogo di rinvenimento furono tali che fecero fallire il proposito delle autorità borbonico. I due crateri adesso sono tra i pezzi più pregiati in bella mostra nel Museo di Lentini.

Ancora nell’Ottocento il frequente rinvenimento di altri oggetti di pregio per le trasformazioni agricole delle campagne lentinesi e la loro dispersione nel mercato antiquario, indusse le autorità cittadine a sollecitare l’istituzione di un museo locale per la loro conservazione. Ne è testimonianza una lettera datata il 7 maggio 1879 indirizzata alla Direzione dei Musei e degli Scavi di Antichità, retta in quegli anni dal celebre archeologo Giuseppe Fiorelli. Nella lettera il Prefetto di Siracusa riferiva del “fermo proposito” del Municipio di Lentini di acquisire tutte le antichità che si rinvenivano a Lentini “onde istituire un museo archeologico” (M. Frasca, Leontinoi, Archeologia di una colonia greca, Giorgio Bretschneider Editore, Roma 2009).
Il proposito fu destinato a rimanere tale e la comunità non riuscì a impedire che altri reperti archeologici dell’antica polis calcidese arricchissero le collezioni di privati o di Musei nazionali ed esteri. Tra gli oggetti rinvenuti tra la fine dell’ottocento e gli inizi del secolo successivo si annoverano anche pezzi di grande valore artistico, come il dinos bronzeo con teste di ariete, usato come cinerario nella sepoltura di un aristocratico lentinese, oggi in bella esposizione nel Museo archeologico di Berlino.
Anche il torso di kouros (statua di giovane nudo stante) rinvenuto nel 1904 nelle campagne di Lentini è entrato a far parte di una collezione pubblica, in questo caso del Museo di Siracusa, dove era possibile ammirarlo prima dell’infelice operazione di ricongiungimento (fortunatamente reversibile) con la raffinata testa del Museo di Castello Ursino di Catania, pezzo principe della settecentesca collezione Biscari. La testa e il torso, anziché attestare il “ritrovamento” di un kouros da Lentini, testimoniano del vigore culturale ed economico dei Leontini nel periodo del massimo splendore della polis, tra la fine del VI secolo e gli inizi del V secolo a.C., che fu in grado di commissionare (e forse di far eseguire sul posto) ben due statue nel marmo dell’isola greca di Paros.
Le aspirazioni cittadine per la costituzione di un Museo nella città di Gorgia riaffiorano nel 1926, allorquando con una lettera datata il 26 novembre, l’Ispettore Onorario dei Monumenti e Scavi, Rosario Santapaola Ragazzi, chiede al Soprintendente alle Antichità, sen. Paolo Orsi, il suo autorevole supporto alla proposta della costituzione di un museo locale che custodisse i rinvenimenti del territorio evitandone la dispersione, avanzata dai circoli culturali lentinesi e sostenuta dalle autorità cittadine,. La ferma posizione negativa di Orsi, contrario alla formazione di “piccole fondazioni municipali”, smorzò sul nascere l’iniziativa locale (F. Valenti, Leontinoi. Storia della città. Dalla preistoria alla fine dell’impero romano, Publisicula, Palermo 2007).
Bisognerà attendere il Secondo Dopoguerra perché le condizioni mutino, per la presenza a Siracusa del soprintendente Luigi Bernabò Brea che favorisce l’avvio di campagne di scavo sistematiche affidate all’Università di Catania. In quegli anni una nuova spinta culturale, dovuta al gruppo di ispirati uomini di cultura lentinesi che animavano il Centro Studi Notaro Iacopo (tra cui ricordiamo l’ing. Carlo Cicero, l’avv. Alfio Sgalambro, il prof. salvatore Ciancio, il dottor Luigi Bugliarello, lo scrittore Carlo Lo Presti, il giornalista Giuseppe La Pira) alimenta l’interesse per la storia più antica
della città e ripropone con forza l’esigenza della costituzione di un Museo territoriale. Nell’aprile del 1950 per iniziativa dell’illuminato sindaco Filadelfo Castro fu realizzato il primo passo in tale direzione con la creazione di un Antiquarium affidato alla direzione del prof. Salvatore Ciancio. Il Comune concesse i due famosi crateri oggetto della disputa ottocentesca che entrano a far parte della collezione insieme ad altri oggetti provenienti da donazioni private e dalle indagini archeologiche effettuate dallo stesso prof. Ciancio.
L’Antiquarium però non ebbe vita facile: non ebbe mai una sede definitiva e fu sottoposto ai vari spostamenti subiti dal Centro Studi Notaro Iacopo che lo ospitava finché il 25 giugno 1954 i suoi materiali furono presi in consegna dal prof. Giovanni Rizza, direttore degli scavi in corso di esecuzione a Leontini. I reperti furono custoditi nei locali dell’edificio destinato a Museo che, su iniziativa dell’Assessore Regionale ai Lavori Pubblici Sebastiano Franco, la Regione Sicilia aveva costruito in un terreno donato dall’Amministrazione cittadina. Francesco Valenti ha ricostruito meticolosamente le complesse vicende che portarono alla costruzione dell’edificio da destinare a Museo e al tentativo da parte della nuova amministrazione lentinese di cambiarne la destinazione nella seduta del consiglio comunale del 28 giugno 1954; tentativo che vide la ferma opposizione dei consiglieri di minoranza, gli avvocati Alfio Sgalambro e Giuseppe Bruno (Leontinoi. Storia della citt,. cit.).

La conclusione della vicenda fu però positiva e il 28 maggio 1962 il Museo di Lentini, progettato dell’architetto Vincenzo Cabianca, fu finalmente inaugurato nell’edificio a esso destinato. L’allestimento del Museo, ordinato secondo moderni criteri di esposizione, rifletteva i risultati delle indagini archeologiche dirette dal prof. G. Rizza dal 1947, nei due colli di San Mauro e Metapiccola sede della città greca di Leontini, che avevano portato alla scoperta di un villaggio sul colle Metapiccola, della porta meridionale collegata alle mura di cinta della città greca sul colle San Mauro e di una vasta necropoli greca disposta su più strati, presso la porta.
L’esposizione occupava solo il piano terra dell’edificio. In attesa di un successivo ampliamento degli spazi espositivi, il piano superiore fu destinato a uffici e al deposito dei materiali archeologico provenienti dagli scavi più recenti. In una sala dello stesso piano fu collocata in vetrine chiuse la collezione del barone Iudica di Palazzolo in attesa del trasferimento definitivo nei locali di Palazzo Cappellani di Palazzolo Acreide, dove è attualmente esposta. Nel seminterrato fu previsto un vasto ambiente di lavoro per il lavaggio e il restauro dei materiali e un deposito con scaffalature per la conservazione dei reperti non esposti, oltre a dei vani di abitazione per il custode e la sua famiglia.
Il percorso museale comprendeva quattro sale e un lungo corridoio, comunicanti tra di loro, preceduti da una saletta d’ingresso con pannelli introduttivi. Nella prima stanza erano collocati i materiali preistorici e protostorici provenienti dal colle san Mauro e dal villaggio della Metapiccola, questi ultimi esposti in una grande vetrina ad armadio che occupava un’intera parete. Un’altra vetrina simile nella terza sala era destinata all’esposizione della statuette e dei vasi della stipe votiva greca della Metapiccola e dei corredi più antichi della necropoli meridionale. Nella stessa sala fu realizzata l’innovativa ricostruzione a parete della stratigrafia riscontrata presso i muri della porta sud della, tuttora visibile. Nel corridoio i corredi della necropoli meridionale disposti per strato cronologico chiudevano il percorso di visita. Riproduzioni fotografie di monete e di altri oggetti di Leontini conservati in altri Musei, vedute fotografiche del sito archeologico, carte tematiche e un elegante apparato didattico di testi, contribuivano a fornire al visitatore una conoscenza quanto più completa della colonia calcidese di Leontini, così come era emersa dalle indagini fino ad allora effettuate.
Il Museo dipendeva dalla Soprintendenza alle Antichità di Siracusa e non aveva un Direttore proprio, nonostante che nel progetto museale fosse stata prevista una stanza per la direzione, a cui si accedeva dalla prima sala espositiva. Sopperiva alla presenza di un direttore la costante attenzione che la comunità lentinese dedicava all’istituzione. In particolare, va ricordata la presenza costante nel Museo dell’Ispettore Onorario avv. Alfio Sgalambro, sempre disponibile ad affrontare i problemi quotidiani del funzionamento del Museo e a invitare e accompagnare scolaresche, associazioni e altri visitatori, illustrando i reperti del cui rinvenimento era stato in moltissimi casi testimone.
L’allestimento curato dal prof. Giovanni Rizza è rimasto immutato per decenni, anche se le nuove scoperte effettuate nei comprensori di Lentini e Carlentini avevano ampliato le conoscenze sulla città antica e sul suo territorio, anche su fasi storiche non documentate in precedenza.
L’occasione per un necessario ripensamento e ampliamento dell’allestimento fu data dalla chiusura del Museo a seguito del terremoto che nel dicembre del 1990 colpì gravemente Lentini e Carlentini.
Il Museo fu riaperto il 27 marzo 2004, con un nuovo progetto espositivo avviato dalla dottoressa Beatrice Basile e portato a termine dalla nuova Responsabile del Servizio Archeologico, dottoressa Maria Musumeci, con la collaborazione di Maurizio Caffi e Francesco Valenti e con la consulenza scientifica di chi scrive.
Nel nuovo allestimento hanno trovato spazio i reperti provenienti dagli scavi effettuati dopo il 1962 dall’Università di Catania e dalla Soprintendenza di Siracusa nella necropoli di Sant’Aloe (scavi S. Lagona) e Cava Ruccia (scavi E. Procelli), nelle case rupestri di contrada Crocifisso (scavi U. Spigo, M. Frasca, D. Palermo) e di Caracausi (scavi U. Spigo, L. Grasso, M. Ursino. A. Musumeci), nella necropoli preistorica di Cugno Carrube (Scavi U. Spigo, M. Frasca), nelle necropoli greche di contrada Piscitello (scavi M. Frasca) e di Pozzanghere (scavi U. Spigo, D. Palermo), sul colle Castellaccio (scavi U. Spigo, M Frasca, L. Grasso), nei santuari extraurbani di Alaimo (scavi L. Grasso) e di Scala Portazza (scavi B. Basile, M. Frasca, M. Musumeci), presso la porta Nord (scavi B. Basile, M. Frasca, S. Scerra) e nel centro storico di Lentini (scavi B. Basile).
Il nuovo percorso di visita del Museo ha tenuto conto del precedente ordinamento ma con alcune modifiche, come la chiusura delle porte di comunicazione con il corridoio per creare un percorso unitario. L’aggiunta di nuove vetrine più funzionali e meglio illuminate e un rinnovato apparato didascalico nelle sale ha consentito di illustrare un periodo molto più ampio della storia archeologica di Leontini, dalla preistoria fino all’età moderna. I testi dei pannelli, curati da M. Musumeci, F. Valenti e da chi scrive, sono stati raccolti e pubblicati in un elegante volume a colori curato da Maria Musumeci (Il Museo Archeologico di Lentini, Romeo Editore, Siracusa 2004).
Dopo un altro breve periodo di chiusura per l’esecuzione di un progetto finanziato dalla Comunità Europea per l’adeguamento degli impianti dell’edificio, il Museo è stato nuovamente aperto al pubblico il 29 luglio 2016. Il finanziamento è stato utilizzato anche per ampliare il percorso espositivo a una parte del piano superiore. La nuova esposizione è stata curata dalla dottoressa Maria Musumeci con la collaborazione scientifica di chi scrive e del dott. Marco Camera.
Con il nuovo allestimento per la prima volta è stato inserito nel percorso espositivo il piano superiore del Museo, dove ha trovano posto una sezione dedicata ai rinvenimenti subacquei di Punta Castelluzzo che precede l’esposizione dei materiali provenienti dal territorio lentinese. Nella sequenza di vetrine disposte a bandiera che ripropone quella del corridoio del piano terra sono esposti in ordine cronologico i materiali provenienti dagli scavi nel villaggio dell’età del bronzo di Valsavoia (scavi U. Spigo), nella necropoli di Cugno Carrube (scavi M. Frasca), fino ai recenti rinvenimenti nel santuario extraurbano di Xirumi-Fiumefreddo (scavi L. Guzzardi-I.Giordano).

Nel piano terra il nuovo ordinamento ha lasciato quasi inalterata l’esposizione del 2004. Nella prima sala lo spostamento nel piano superiore della preistoria del comprensorio ha consentito di dare maggior respiro ai materiali preellenici dei colli San Mauro e Metapiccola, visibili nelle vetrine a destra dell’ingresso, e ai corredi delle necropoli indigene di Cava Ruccia e S.Aloe, contemporanee alle prime fasi di vita della colonia calcidese esposti nella parete opposta.
Nella seconda sala è stato dato risalto alla produzione più antica della città calcidese, in grado di realizzare vasi figurati monumentali di probabile destinazione funeraria; produzione che influenzò quella indigena, come mostrano i vasi figurati della necropoli di S.Aloe esposti nella vetrina accanto. Nella stessa sala è in mostra una scelta delle ceramiche greche importate a Leontini e degli arredi delle case greche di contrada Crocefisso e Caracausi.
Nella sala successiva, una vetrina collocata davanti alla ricostruzione della stratigrafia presso la porta sud mostra i materiali provenienti dagli strati segnati nella parete. Nella stessa sala è stata mantenuta l’esposizione della stipe della Metapiccola in due vetrine affiancate, quella della raffinata testa arcaica in pietra locale e quella del grande pannello con l’esemplificazione tipologica delle terrecotte architettoniche che decoravano i templi sulla sommità dei colli San Mauro e Metapiccola.
Al centro della sala successiva campeggiano in due teche visibili da tutti i lati i due crateri a figure rosse della collezione municipale ottocentesca. Nella stessa stanza sono esposti i materiali provenienti dai due santuari periurbani di contrada Alaimo e Scala Portazza.
Segue il lungo corridoio in cui trovano posto una grande vetrina a muro che accoglie la collezione Santapaola, formata da materiali provenienti dalle necropoli, e la serie di vetrine a bandiera in cui sono esposti alcuni vasi della collezione Beneventano e i corredi più significati delle necropoli sud e nord di Leontini. Le ultime vetrine, dedicate alla città medievale e moderna, chiudono come nell’allestimento precedente, il percorso di visita.
Il Museo oggi è parte integrante del Parco Archeologico di Leontini e Megara Iblea diretto dal dott. Lorenzo Guzzardi, che è istituito nel marzo del 2019 con delibera dell’assessore regionale ai beni culturali Sebastiano Tusa.
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