Il regista Paul Curran porta il dramma di Euripide nell’era degli smartphone e delle pistole, ma non mancano le emozioni
Al termine di “Fedra – Ippolito portatore di Corona”, c’erano occhi lucidi e applausi scroscianti. Il dramma del dolore di Teseo, un magistrale Alessandro Albertin, l’eroe che uccise il Minotauro ma che cade nella tela degli imbrogli di una splendida e malvagia Afrodite, interpretata altrettanto magistralmente da Ilaria Genatiempo, sta tutto in quella scena finale, illuminata sapientemente come una sorta di “pietà”, dove al posto della madre e del figlio, abbiamo un padre distrutto e un figlio morente, l’Ippolito di Riccardo Livermore, seppur con l’onore redento.
La scenografia è semplice, con una maschera che assume di volta in volta contorni legati al racconto grazie alle opere di videomapping; i richiami alla modernità, come il già citato smartphone, le divise dei servi ispirate alla protezione civile e ai vigili del fuoco o la pistola sfoderata da Teseo verso il messaggero Marcello Gravina in realtà colpiscono ma non snaturano l’opera classica.
Bellissime le musiche e sempre evocative e suggestive le parti affidate al coro; particolare il rapporto tra Fedra di Alessandra Salamida, maledetta d’amore verso Ippolito e la sua serva-nutrice Gaia Aprea, con dialoghi serrati in tutta la prima parte, fino a quando proprio la nutrice, rivelando ad Ippolito i sentimenti innaturali di Fedra, provoca il di lui disgusto, con tanto di forse inopportuno – seppur ben contestualizzato – monologo contro le donne.
Ippolito è infatti un puro, è seguace della dea Artemide, vergine tra le vergini, ed è il preferito proprio dalla dea interpretata qui da Giovanna Di Rauso; disprezza e non onora Afrodite perché ritene dissoluta la vita condotta dalla dea e ovviamente, la rabbia e la vendetta di quest’ultima sono pronte a riversarsi proprio su Ippolito. Il suicidio di Fedra però, sarà l’atto demolitore di tutta la vicenda, perché la lettera che troverà Teseo tra le mani del cadavere della sua sposa, sarà infatti la causa della sua follia e del suo rancore verso il figlio.
Nella lettera, Fedra accusa Ippolito di aver violato il letto paterno, violentandola; Teseo impazzisce di rabbia, non nutre nessun dubbio e invoca su Ippolito, senza sentire nessuna ragione, una delle maledizioni che gli aveva promesso il padre Poseidone, dio dei mari; la maledizione arriva proprio sotto forma di toro che esce dall’acqua e ferisce a morte Ippolito.
Sarà Artemide che, entrata in scena nel finale, spiegherà a Teseo che il suo è stato un grave errore indotto proprio da Afrodite, per il quale lei non avrebbe potuto rimediare in quanto esiste una regola non scritta nelle vicende divine, ossia nessuna divinità può “impicciarsi” di quello che fanno le altre. Ma la vendetta di Artemide sarà comunque tremenda, in quanto ucciderà con la sua freccia l’umano preferito della sorella Afrodite.
La stessa Afrodite impedirà a Teseo di suicidarsi, perché per l’eroe ci sono almeno due giustificazioni alle sue azioni, ossia l’ignoranza della cospirazione della moglie Fedra e soprattutto l’intromissione di Afrodite; è vero che Teseo non muore, ma la morte immotivata dal figlio Ippolito, inevitabilmente, costringerà l’eroe greco a vivere il resto della sua vita con un enorme rimorso.
Il prossimo appuntamento sarà inevitabilmente più leggero, con la commedia di Plauto “Miles Gloriosus” prevista il prossimo 13 giugno con la regia di Leo Muscato.