La dirigente scolastica: “Se la Sicilia è messa male, Siracusa sta peggio. Bisogna far capire alle famiglie che la scuola è luogo di crescita culturale”.
Gli ultimi dati di Save The Children sulla dispersione scolastica bacchettano l’Italia, rimasta molto indietro sul contrasto al fenomeno (che tocca quota 12,7%) e sull’obiettivo fissato dall’Unione Europea (9%), e mostrano il primato negativo della Sicilia (21,1%). La nostra isola è messa male, sia per quel che riguarda la dispersione esplicita, ossia il rifiuto dei ragazzi di andare a scuola, sia per quel che concerne la dispersione implicita, vale a dire l’incapacità degli studenti di raggiungere, durante il percorso scolastico che porta al diploma, adeguati livelli di competenza.
Anche a Siracusa, la situazione non è delle più rosee, come conferma a SiracusaPress, Teresella Celesti, dirigente scolastica dell’istituto “Einaudi” di Siracusa, la quale individua anche una delle cause principali della situazione negativa che si vive al Sud: “Se la Sicilia è messa male, Siracusa è messa peggio. Noi paghiamo il prezzo di anni di disaffezione e di una situazione culturale generale nella quale la scuola non viene più vista come una grande occasione di crescita e formazione per la costruzione di un futuro qualificato. Sicuramente la manovalanza nella delinquenza locale o il malaffare risultano più redditizi. La scuola, inoltre, si trova in una situazione di disagio anche perché vale il principio che essa dovrebbe sostenere tutti i costi delle funzioni sociali che svolge”.
Come fa la scuola a uscire da questa situazione?
Ci vuole una rivoluzione culturale che porti la società a considerare la scuola come l’unica leva possibile, non come una delle tante cose. Perché è qui che, al di là dei programmi, si forma il cittadino, la persona. Se ogni volta, a fronte delle varie emergenze nazionali, che vanno dal rispetto per l’altro a quello per l’ambiente, si parla di educazione nelle scuole, qualcosa vorrà dire riguardo alla centralità dell’istruzione scolastica. Il problema della dispersione, a mio avviso, non è tanto legato all’edilizia scolastica o alla questione delle classi pollaio, ma è principalmente culturale. Purtroppo molti genitori considerano la scuola come un luogo di detenzione dei figli e non come un luogo stimolante, di crescita culturale e personale.
L’indagine di Save The Children però rileva che, per quel che riguarda la dispersione implicita, le province con un tasso più basso sono quelle con condizioni “ambientali” migliori (tempo pieno, mense, palestre, agibilità degli edifici…). Dunque, esiste una correlazione anche con fattori materiali?
Certo, una correlazione c’è e ce ne accorgiamo dal fatto che negli ultimi 40 anni non si è fatto nulla per estendere il tempo scuola. Perchè è chiaro che il tempo pieno necessita di infrastrutture, ma le dico di più: tutte le volte che nasce una classe a tempo pieno in una scuola elementare, c’è un aggravio delle spese per l’amministrazione comunale, perché bisogna offrire il servizio mensa e non sempre questo è possibile. Quindi, spesso la scelta della scuola non trova una rispondenza economica con gli enti locali, che sono in sofferenza ormai da anni.
Eppure l’estensione del tempo scuola sarebbe importante per arginare il fenomeno.
Riportare il tempo vuoto dei ragazzi all’interno di un contenitore, fa la differenza. Ecco perché al sud abbiamo dati molto più alti di dispersione. Ma al di là di questo, è anche altro ad incidere sul fenomeno.
Cioè?
Dal punto di vista della formazione, dell’apprendimento e della crescita a scuola, un ruolo decisivo lo gioca il fatto che, purtroppo, non si riesce a scrollare le famiglie da posizioni di garantismo, di “sindacalismo” nei confronti dei propri figli. Bisogna far conoscere a questi ragazzi la dimensione di studenti, di persone volonterose all’apprendimento. La scuola non è un diplomificio, ma è il luogo dell’affettività, della crescita insieme, della solidarietà, di valori che qualificano il futuro dei ragazzi.
Quindi le famiglie, o meglio l’atteggiamento di molte famiglie, sono una parte determinante del problema?
Sarebbe disonesto pensare che il problema sia causato solo dalle famiglie, atteso che noi siamo pagati per fare scuola. Però, quello che posso rilevare dalla mia esperienza è che dobbiamo competere con una realtà sociale che guarda alla scuola come a una cosa poco importante. Per questo insisto sulla necessità di una rivoluzione culturale, perché bisogna far capire alle famiglie e ai ragazzi che la scuola è un luogo nel quale accrescere la propria intelligenza critica, nel quale apprendere e non stare tutto il tempo seduti con il cappuccio in testa a giocare con un dispositivo digitale. Perché il nemico della scuola oggi è il telefonino e sono proprio i genitori a metterglielo in tasca.
E a quanto pare anche l’idea di sequestrare i dispositivi per il periodo delle lezioni è di difficile attuazione, giusto?
Si possono anche sequestrare i telefonini, ma il problema è che la scuola non può diventare ogni giorno il luogo di una guerra. Quello che deve essere un posto sereno e di apprendimento non può diventare un teatro di costante conflitto. Ad ogni modo, riguardo ai dati della dispersione, c’è un’altra cosa che li rende più eclatanti qui nel Meridione.
Cosa?
Il fatto che nel 2000 noi siamo stati destinatari di provvidenze miliardarie legate all’Obiettivo 1. Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania sono state oggetto di interventi importantissimi proprio nell’ambito della riqualificazione e i risultati sono stati pressoché nulli.
Per quale motivo?
Perché si tratta di interventi non strutturali. Il progetto che nasce e muore non serve a niente. In questi venti anni abbiamo chiesto che questi interventi diventassero strutturali, in modo da determinare una riorganizzazione del tempo scuola e migliorare, quindi, l’efficacia dell’apprendimento, a differenza di interventi spot che non lasciano traccia.
Cosa dovrebbe fare il governo per contrastare efficacemente la dispersione scolastica?
Il discorso è molto complesso. Intanto è necessario che ci sia un riconoscimento della scuola e del ruolo dell’operatore scolastico, e questo non è un discorso legato ai compensi. In secondo luogo, c’è bisogno di una ridefinizione dei piani ordinamentali, perché qualcuno mi deve spiegare cosa significa fare esami in terza media se l’obbligo è fino a 16 anni. Si dovrebbe pensare a un allineamento ai sistemi europei, che prevedono una scuola dell’obbligo che alla fine consegna un documento utile ai fini dell’inserimento nel mercato del lavoro e consente a chi vuole di continuare gli studi e di farlo attraverso un percorso di alto livello. Pensiamo cioè a una scuola capace di dare le chiavi di cittadinanza a tutti. Mi riferisco al modello europeo, che a oggi produce maggiore qualità della formazione e minore disoccupazione.