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Informale e intima al nord, la passeggiata diventa un rito celebrativo delle relazioni al sud.
[/vc_column_text][vc_text_separator title=”di Federica Capodicasa”][vc_column_text]Post-prandiale, post pennica pomeridiana, domenicale o feriale che sia, per l’italiano la passeggiatina è, nella maggior parte dei casi, da considerarsi come un’occasione da non mancare, piuttosto che come un vero e proprio salutare svago o passatempo e non c’è clima troppo avverso o troppo favorevole, che possa far desistere il cittadino dall’infilarsi in un paio di scarpe per andare a sgranchirsi mente e gambe.
Se la questione, in generale, accomuna tutti, genti del nord e genti del sud, la stessa si può riscontrare dissimile relativamente a tutto ciò che sta dietro l’organizzazione stessa della passeggiata e il suo esito finale.
Partiamo dal presupposto che al nord, in una Milano, per esempio, fondamentalmente non ti conosce nessuno e le probabilità di uscire di casa e incontrare un viso noto sono pari a quelle di trovare un ago in uno stormo di piccioni in piazza Duomo.
Il milanese lo sa molto bene e forse è per questo che non presta molta attenzione, per esempio, al fatto che, per portare fuori il cane e andarsi a prendere un gelatino sotto casa, ha indossato un paltò di lana cotta sopra un bermuda, visione alquanto grottesca o al fatto che, per passeggiare sul naviglio, ha deciso di rispolverare la tuta acetata delle medie, perché è più comoda o ancora al fatto che, per com’è pettinato, potrebbe solo entrare a Woodstock, mica in Montenapo.
Vi sono certamente anche molte eccezioni che, come la regola di cui sopra, valicano il buon senso comune ed ecco che un semplice pic-nic al parco Sempione si trasforma in una “Déjeuner sur l’herbre” (quella di Monet) e una camminata in Via della Spiga in uno sfoggio di immoderata haute couture.
In entrambi casi il milanese sa, come dicevo, che probabilmente, nessuno lo considererà e, dopo che l’è andaa a spass, libero dal giudizio altrui, rientrerà a casa pago (di shopper), ma solo.
Al sud è diverso.
Partiamo dal presupposto che il siciliano passía, mica va a spass e quell’accento sulla i la dice lunga, lunga come la durata stimata per l’organizzazione della sua passiata.
Il siciliano non improvvisa, il siciliano mette a punto una serie di strategie perché sa, ovviamente, che incontrerà una moltitudine di persone a lui ben note, dalla maestra elementare, al sindaco in persona con tutta la sua giunta, passando da ex fidanzati, amici vari, vecchi flirt, per non parlare del fruttivendolo di fiducia.
Dunque, si organizza il siculo attento. Non può tralasciare dettaglio alcuno perché sa benissimo che verrà osservato e giudicato. Dalla messa in piega alla pedicure, si prepara, dunque, a sventolare saluti e baci alla stregua di Queen Elizabeth.
Se il milanese potrebbe definirla mancanza di privacy, il siciliano sfrutta questa benevola violazione delle sue libertà per fare nuove conoscenze, ridiscutere rapporti di lavoro, rinfrescare vecchi cuttigghi e proporne di nuovi o, semplicemente, per mangiare una minnuzza e un cannolicchio in compagnia.
E quella passiata programmata inizialmente in solitudine, il cui esito finale avrebbe dovuto svelarsi su una spiaggetta, in riva al mare al tramonto, con uno spritz in mano e cento pensieri nella testa, si trasforma in meno di un attimo in una ricca e sontuosa tavolata.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][/vc_column][/vc_row]