Aggiornato al 27/10/2021 - 09:40

Stagioni condivise: timidezza e insolenza

condividi news

[vc_row][vc_column][vc_text_separator title=”di Federica Capodicasa”][vc_column_text]Incantevole stagione, l’autunno. Sfumature e rinnovamento. Le maniche si allungano, le gambe si coprono, le foglie cadono, le temperature diminuiscono, l’atmosfera diventa improvvisamente greve e la pioggia?

Da buona milanese per sbaglio, direi che sono abituata all’evento atmosferico forse maggiormente detestato dai più.

Milano in ottobre si ricopre di una coltre di fosca caligine, un misto di smog e vapore acqueo.

Il milanese è estremamente avvezzo a quegli infiniti intervalli di affilati e protratti rovesci.

Ogni mattina è consapevole che, aprendo le finestre, non riuscirà a distinguere nitidamente il suo riflesso sul vetro perché offuscato dai bagliori dei fari già accesi delle automobili che sgomitano nel traffico congestionato.

Il milanese lo sa che, quando piove, è opportuno prendere anche il tempo che, materialmente non ha.

Stivaloni e cerate sfilano discreti nei corridoi delle metropolitane celando tailleurs e cravatte.

Gli ombrelli si incastrano tra di loro lungo i marciapiedi facendo slittare i temerari tacchi a spillo o gli incuranti mocassini di camoscio entrambi concentrati nello schivare una placida pozzanghera.

Lungo le vie si possono ascoltare i timidi sproloqui dei passanti colti alla sprovvista, turisti, forse o novelli milanesi non ancora accostumati al clima meneghino.

Dura e non muta. La pioggia a Milano è coerente con sé stessa e con coloro che, impotenti, ne subiscono gli abusi. Fitto, spesso, pungente o carezzevole che sia, quello scroscio è persistente e, soprattutto, mai ingannevole, perché quando decide e si tinge di bianco, il cielo di Milano non cambia idea così facilmente.

Lo stesso, invece, non si può certo dire di quello sotto il quale vivo da quasi due anni ormai.

Quando mi sono trasferita a Siracusa ho immediatamente ben appreso che, periodo estivo a parte, durante il quale boccheggiare equivale a respirare, dal mese di ottobre in avanti, nel corso di un’intera e unica giornata, le quattro stagioni possono facilmente susseguirsi alternando vezzi e vizi in un mulinello inesauribile e insistente e con esse le connaturate appendici, il sole e, naturalmente, la pioggia.

Evento da non trascurare le cui ripercussioni mi hanno disorientata.

Anche io sono stata una milanese imbarbarita dalle conseguenze di una giornata di pioggia, eppure oggi mi sento imbrogliata.

La natura siciliana non si smentisce. Equiparabile alla sua gente è spavalda, vera e, a tratti, arrogante. Insomma, quando si scatena, lo fa con tutta sé stessa.

È portatrice di un’ira profonda capace di estinguersi dopo pochi minuti. È destabilizzante e totalizzante.

Non c’è ordine, non c’è metodo nel suo manifestarsi. Non c’è tedio o monotonia.

Distrugge ed esalta allo stesso tempo, paralizza e muove.

I rovesci sono rapide bombe dirotte, le pozzanghere sono fiumi in piena. Poche le accalorate voci nelle strade che implorano una tregua.

Da qualche giorno il cielo siciliano è tinto di un nero corvino, un nero sinistro e ostile, una sfumatura a me sinora sconosciuta. Il sole sgomita e preme per farsi largo, flebili gli esiti.

I Siciliani soffrono, chinati in un ossequio fittizio, pronti a risollevare sforzi e sfarzi grazie alla loro sostanza che sta giocando una partita con la vita che inevitabilmente finirà pari e patta.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Primo Piano

ULTIMA ORA

CULTURA

EVENTI

invia segnalazioni