[vc_row][vc_column][vc_text_separator title=”Convivio, rubrica a cura di Mario Blancato”][vc_column_text]
La conclusione del G20 a Roma ci dà l’occasione di ritornare ancora sul problema ambientale che oggi ha anche cambiato nome, si chiama: problema climatico. Ne prendiamo atto, benché osserviamo che il cambiamento climatico è solo un aspetto del problema. Dal punto di vista pratico registriamo un importante impegno a favore dell’ambiente: La necessità di incrementare il patrimonio forestale con il piantare miliardi di alberi nei prossimi decenni (la Sicilia ne ha particolarmente bisogno). Al di là dell’impegno concreto che, visti gli interessi economici in gioco, ha una elevata probabilità di essere messo a segno (lo speriamo) notiamo un atteggiamento di fondo: non è più la tanto decantata tecnologia ad essere invocata come la panacea dei mali; ma, si ci rivolge direttamente alla natura, ed in particolare alle piante, come unica risorsa in grado di sostenere la lotta ai cambiamenti climatici. È come se, d’un tratto, si sia squarciato un velo: l’albero, la sua protezione ed il suo sviluppo è l’arma più potente di cui si dispone l’umanità. Ci si è dunque ricordati del monito Leonardesco: << L’albero si vendicherà con la sua ruina>> (Pensieri). Questa è la grande scoperta del G20.
Finalmente, salutiamo con soddisfazione che i grandi della terra abbiano ricordato le prime lezioni ascoltate dalla maestra/o alle scuole elementari: Gli alberi danno la vita! Ma, forse nell’euforia generale che una tale scoperta avrà provocato nelle menti di politici, tecnici e consiglieri, ci si è scordati che negli ultimi 100 anni il sistema produttivo ha depauperato il suolo rendendo i terreni fertili assolutamente dipendenti dalla chimica (e dall’industria) dei prodotti fertilizzanti. Per ripristinare dunque la fertilità originaria ci vorranno migliaia di anni! Se si smettesse di inquinare la terra sin da adesso. In attesa di leggere qualcosa di più esteso che non le varie dichiarazioni televisive e le dichiarazioni date dal premier Draghi a conclusione del G20, mi piacerebbe trovare tra le decisioni del G20 (ma non le troverò) quella più importante che ritengo tra le tante: Le grandi foreste dell’Amazzonia vanno considerate patrimonio dell’umanità; sistema vivente irrinunciabile. Attualmente assistiamo, invece, alla distruzione di un patrimonio forestale amazzonico di un territorio grande quanto la Svizzera ogni anno! Il restante delle decisioni (pannicelli caldi!) del G20 sono delle inutili risoluzioni in merito alla tassazione. Anche sull’effetto serra sembra che i “grandi” abbiano imparato la lezione “a memoria” in merito al contenimento dell’aumento della temperatura sulla terra di circa 1.5 gradi.

Il 7/5/2021 su SiracusaPress ho fatto un intervento dal titolo “Economia Circolare: L’effetto serra”. Esponevo la tesi che l’effetto serra è la conseguenza diretta del consumo di energia globale, di qualunque tipo rinnovabile o meno (nucleare incluso) che alimenta tutte le trasformazioni economiche. Ho dato un dato, tra tutti il più importante: attualmente su 100 parti di energia prodotta alla fonte (di qualunque tipo) solo 20 parti vengono utilmente utilizzate per creare economia; la restante parte dell’energia prodotta (80 parti) viene semplicemente dispersa nell’ambiente (cioè scaricata come inquinante): il sistema economico produttivo attuale. Pertanto concludevo che, invece di invocare nuove produzioni di energia (convenzionale, nucleare, rinnovabile) si dovrebbe investire nell’aumento dell’efficienza di trasformazione dell’energia primaria bloccando ogni aumento dell’energia primaria. Leggo su Repubblica del 3 settembre 2021 (articolo di Manacorda): << Il nucleare ci serve. Per azzerare le emissioni le rinnovabili non bastano>> (citazione Scaroni) e il 4 settembre (articolo di Lattanzi ): << Nessuna proposta su nucleare ma abbiamo il dovere di studiare nuove tecnologie>> (citazione Cingolani).

In altre parole, si lancia una pietra e poi si ritira la mano, per prudenza. Ma il fondamento di tali provocazioni è una tesi solo in apparenza ragionevole. La tesi recita: l’Europa si pone l’obiettivo di arrivare a zero emissioni di CO2 nel 2050, nella linea tracciata anche dagli Accordi di Parigi, allora non si può dire di no e basta al nucleare, che ha l’indubbio vantaggio di non generare emissioni. A parte la non correttezza dell’ultima affermazione, non condivido l’ingannevole tesi (non si può dire di no e basta al nucleare). Si dimentica un semplice fatto (ma temo non alla portata di menti contorte): solo il 20% dell’energia prodotta va alle trasformazioni con le attuali tecnologie filtrate dalla legge del profitto. Inoltre, l’effetto serra è massimamente legato al consumo delle merci, anche se si spegnesse tutta la CO2 dovuta alla produzione di energia (cosa impossibile), resterebbe tutta intera la CO2 prodotta nel consumo (una parte consistente): trasformazione di merci in merci. Dunque l’unica arma utile è quella di ridurre le quantità di energia e, contemporaneamente, concentrarsi sulla efficienza di trasformazione di energia in merci includendo un forte aumento del patrimonio naturale delle foreste. Ma la fame di energia (alimentata dalla legge del profitto) spinge verso la catastrofe ambientale. Parafrasando una recente frase (stupefacente) di Boris Johnson affermiamo: fermiamoci un attimo a pensare; o faremo la fine dell’impero romano.
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