[vc_row][vc_column][vc_text_separator title=”Convivio, a cura di Mario Blancato”][vc_column_text]Un’esile arteria di porpora, intrisa di rosso e magenta, pulsa su una tela plumbea.
È un tratto rosso Frida, vivo e lucente, come “tezontle”, roccia porosa messicana; violento, come lacrime di vita e suoni di revolucion; dirompente, come le fiamme ardenti d’amore.
Frida è lì, nel riverbero di luce filtrata dalle vetrate della piccola stanza dell’atelier di Coyoacàn, dipinge, tenendosi per mano. Lei, due di una.
Un quadro vivace, quello tinteggiato da Caroline Bernard – pseudonimo di Tania Schlie – nel suo romanzo “La passione di Frida”, che ci conduce in un viaggio alla scoperta della straziante poesia di un io multiplo e tormentato: Frida donna e femmina di Diego Rivera, amata e amante, tradita e traditrice, lava incandescente e pioggia dissetante.
La scrittrice apre il mondo sgargiante e visionario di Frida Kahlo, figura simbolo del Novecento, figlia del mondo, comunista romantica, anarchica istintiva, donna irrequieta e turbolenta, contro tutti, a fianco dei rivoluzionari Zapata e Pancho Villa.
Io sono Frida, viva la libertà, viva la vida! “La rivoluzione è l’armonia della forma e del colore e tutto esiste, e si muove, sotto una sola legge: la vita”.
Frida si schiera con le soldaderas della lotta di classe, assorbendone gli ideali di giustizia ed uguaglianza, respira il vento di un Messico spietato, martoriato, disilluso. Terra depredata, figlia, madre e padre, intima ispirazione e profonda sofferenza, tavolozza dei dirompenti colori della passione di Frida.
Vecchio e nuovo mondo convivono in quest’essere unico: calde tonalità di donne spagnole-amerinde, risoluto sangue virile, discendente dalla fredda Europa.
Frida racchiude l’armonioso caotico miscuglio di sentimenti della mexicanidad, Vita e Morte, “l’una che irride l’altra con al centro Frida che inganna entrambe”, scrive Pino Cacucci in “¡Viva la Vida!”, un dualismo che non è semplicisticamente genetica o etnia, ma la “ricerca accorata di un’identità comune, spirituale, che tenga assieme tutte le stirpi e culture di un popolo variegato, distribuito su un territorio immenso, e l’innesto della recente immigrazione europea”.
“Assassinata dalla vita” già all’età di sei anni Frida incontra la morte, “Pelona” infame, che anni dopo l’attende in agguato sull’asfalto, aspettando l’urlo di dolore disperato della “ballerina dorata” rimasta inerte per terra, trafitta nell’anima da un miserabile palo senza vita.
Eppure Frida, con livore ed ostinazione, afferra la vita e la trattiene dentro. Tra busti e sbarre di letto guarda il cielo della sua stanza, frantuma le pareti, vola tra gli specchi. Frida ritrae Frida. “Piedi, perché li voglio se ho ali per volare?”
I sottilissimi pennelli di zibellino diventano l’unica finestra sul mondo, forza della vita che travolge la sofferenza, fedeli interpreti di una realtà interiore complessa e martoriata. Frida fissa colori e forme, ma anche odori, suoni ed emozioni: “dipingere era un modo per ingannare il tempo, la morte e l’amore. È questo che fa l’arte: inganna la vita con la bellezza”.
E mentre l’amore per la pittura è il diversivo ad un mondo soffocante e avvelenato, l’amore per Diego è la via della ragion folle, l’Amore che non sa e non chiede, complice e perverso, apocalittico.
Frida è ancora una ragazzina quando conosce quest’uomo già padre di glorie e fama eccelsa. Una scolara storpia e insignificante, ma già risoluta e capace di percepire quell’amore assoluto, fulmineo e appassionato da cui sarà pervasa tempo dopo a casa della compagna di partito Tina Modotti. “Vedrai panzon, adesso non ti accorgi nemmeno di me, ma un giorno mi farai fare un bambino”.
Frida e Diego, “la colomba e l’elefante”, 21 anni di differenza annientati da un vento prepotente, capace di sconvolgere le vite con impeto e tormento. Coppia protagonista di un legame chiacchierato, passionale, incomprensibile e folle, al punto di autodistruggersi e riconsacrarsi in un secondo matrimonio dopo il divorzio durato appena un anno.
Caroline Bernard – è questo a mio avviso il grande merito da attribuire al suo romanzo – con audacia di parole lascia trapelare i lati più angosciati di una Frida adombrata dall’opulenza di un marito da cui stillano possanza fisica, artistica e intellettuale, in contrapposizione alla vitrea fragilità di una bambolina racchiusa tra le braccia del suo “Panzon”.
Sono le cromie di una insolita Frida, Frida Rivera, che non esiste se non in funzione di Diego, e un Diego che riesce a regalarle solo a parole il ruolo di unica vera donna della sua vita. La mujer repressa, soffocata, stesa immobile sul letto dell’Henry Ford Hospital al centro dei drammi ironici di una madre terra aspra, traditrice e spietata, assetata del suo stesso sangue, incapace di trattenere la vita dentro di sé.
Una figura singolare, per anni dissipata al seguito di un marito mercenario, impegnato in grandi viaggi e progetti, istintivo, dissoluto e donnaiolo.
Ti odio Diego, ti odio d’amore, ti amo sempre, d’inizio e fine, sublime metamorfosi dell’uno nell’altro d’incantesimo immortale, senza barriere.
Al termine di un lungo travaglio interiore, in un gioco di opposti, la Bernard delinea l’altro volto di Frida. Frida Kahlo, astro folgorante, donna intraprendente, vortice d’aria e libertà, capace di elevarsi in una propria dimensione artistica, sessuale ed economica. Un’indipendenza partorita dal dolore consapevole di non poter essere l’unica per il grande Diego, madre di figli mai nati, finalmente pronta a mostrare con slancio il suo genio femminile, penetrare il mondo con abiti dalle tinte accese e occhi da sognatrice silenziosa e senza tregua. Frida amante senza generalità, sedotta e seduttrice del Viejo Leon, il Trockji dagli ideali traditi, infervorato come un adolescente, smarrito nella tenerezza delle lettere d’amore scambiate tra le pagine dei libri.
Avviene la metamorfosi. Il bruco muta in farfalla, si riallaccia quel filo rosso che scorre dentro il dipinto “Las dos Fridas” tratteggiato in apertura: la tela raffigurante una prima Frida ancorata alla tradizione, tormentata dall’agonia del suo amore bambino gelosamente custodito tra le dita, ed una seconda Frida, quella alla sua destra, dal nuovo volto, europea, all’avanguardia, arricchita e sciolta dai canoni popolari.
“Queste sono le due donne che convivono dentro di me, la donna che vuole vivere come più le piace, e la donna che si porta dietro il peso della tradizione e della storia”.
L’intero libro è un solenne dialogo tra l’intima sofferenza umana e la consapevolezza che ogni crepa, dalla giusta prospettiva, è anzitutto una fessura dalla quale lasciare trapelare barlumi di rinascita. La luce nel buio della crepa, poiché l’ombra è nella luce e la luce nell’ombra.
Vola Frida, tra rose e fiori, con quegli occhi penetranti che continueranno a scriverci, sempre[/vc_column_text][vc_text_separator title=”Sabrina Cicitta”][/vc_column][/vc_row]