“Al Convitto delle Arti Museum, un viaggio nell’evoluzione dell’icona attraverso i maestri che hanno trasformato simboli quotidiani in oggetti di culto”
A Noto arriva “Icon”, un viaggio nell’America che ha ridefinito il concetto di immagine attraverso il genio creativo di 4 grandi artisti: Warhol, Basquiat, Haring e Scharf. Dal 10 aprile al 2 novembre, al Convitto delle Arti Noto Museum, la mostra curata da Edoardo Falcioni svela il percorso che ha trasformato simboli quotidiani in oggetti di culto, seguendone la metamorfosi fino alla loro frammentazione nell’era digitale. La mostra, prodotta da Mediatica in collaborazione con Art Motors srl e patrocinata dal Comune di Noto, raccoglie 120 opere da collezioni private, raccontando attraverso cinque percorsi tematici come i 4 artisti abbiano stravolto i canoni estetici del secolo scorso, creando una nuova forma di espressività artistica che ha influenzato l’immaginario collettivo.Tra le opere più significative emergono le serigrafie di Warhol (i ritratti di Marilyn e Mao, i Flowers e le Campbell’s Soup) che hanno innalzato prodotti di massa a oggetti di devozione artistica. Di Kenny Scharf spiccano le serigrafie su tessuto, il Galaxy Phone e quell’orologio “Monster Time” creato per Swatch che divenne emblema di un’epoca. Keith Haring rivive attraverso opere come “Best Buddies” e “Icons Baby Radiant”, testimonianza di un’arte che sapeva parlare tanto ai musei quanto alle strade. Particolarmente affascinante la sezione che esplora il dialogo tra arte visiva e universo musicale. Di Basquiat risalta la copertina di “Beat Bop”, realizzata nel 1983 con Rammellzee, mentre la presenza delle chitarre di Michael Jackson e dei Rolling Stones, insieme alle rivoluzionarie copertine firmate Warhol per “The Velvet Underground & Nico” e “Sticky Fingers”, documenta come questi artisti abbiano dissolto i confini tra diverse forme espressive.
Abbiamo intervistato il curatore, Edoardo Falcioni, per andare alle radici della sua visione curatoriale e approfondirne il messaggio.
La scelta del quartetto Warhol-Basquiat-Haring-Scharf rappresenta un filo conduttore specifico nell’arte contemporanea americana. Quale messaggio vuole trasmettere questa mostra attraverso l’accostamento di questi quattro artisti in particolare?
Falcioni: «L’accostamento di Warhol, Basquiat, Haring e Scharf non è un semplice omaggio ai protagonisti di una stagione irripetibile dell’arte americana, ma un vero e proprio statement curatoriale. Questi quattro autori incarnano, ciascuno a modo proprio, l’idea di un’arte capace di travalicare i confini tradizionali: tra alto e basso, tra museo e strada, tra pittura e cultura popolare. La loro relazione – talvolta di amicizia, talvolta di confronto – racconta un momento storico in cui l’arte si è fatta linguaggio urbano, strumento politico, manifesto sociale e specchio della contemporaneità. Riunirli oggi significa riflettere sull’origine di una nuova forma di espressività visiva, che continua a influenzare il nostro immaginario collettivo».
La mostra è organizzata in cinque sezioni tematiche. Può illustrare la logica curatoriale alla base di questa suddivisione e quale aspetto innovativo offre al pubblico nella lettura delle opere?
Falcioni: «La mostra si sviluppa secondo un filo conduttore preciso: l’evoluzione dell’icona nell’arte contemporanea americana, da segno popolare a immagine sacralizzata, fino alla sua dissoluzione nei nuovi media. Le cinque sezioni non seguono una cronologia rigida, ma una progressione concettuale.
La prima sezione presenta i quattro artisti – Warhol, Basquiat, Haring e Scharf – in dialogo, come protagonisti di una rivoluzione visiva che ha trasformato il concetto stesso di icona, rendendola accessibile, urbana e collettiva.
La seconda sezione si concentra sull’origine di questa rivoluzione, con particolare attenzione all’opera di Warhol negli anni ’60 e ’70: qui l’icona nasce come immagine seriale, commerciale, eppure perturbante.
La terza sezione esplora il momento in cui l’icona pop si trasfigura in qualcosa di più profondo: diventa oggetto di culto, assume valenze quasi religiose, e si intreccia con la spiritualità e l’identità individuale.
La quarta indaga il rapporto con la fotografia, i media e le tecnologie emergenti: qui l’icona si moltiplica, si smaterializza, si ibrida con l’immagine digitale, anticipando la cultura visiva dei nostri giorni.
Infine, la quinta sezione è dedicata al legame con la musica, elemento centrale nella poetica dei quattro artisti. La musica non è solo colonna sonora dell’epoca, ma diventa linguaggio visivo, estetica e attitudine. L’aspetto più innovativo di questa struttura risiede nel suo approccio trasversale: il pubblico è invitato a ripensare l’icona non come immagine fissa, ma come entità viva e mutevole, capace di incarnare tensioni culturali, politiche e spirituali in continua trasformazione.»
Il legame tra arte e musica emerge come elemento significativo nell’esposizione. In che modo questo dialogo tra forme artistiche diverse ha influenzato la Pop Art e la street art, e come si riflette nelle opere in mostra?
Falcioni: «L’incontro tra arte visiva e musica ha rappresentato una delle scintille più esplosive della scena newyorkese in cui questi artisti si sono formati. Warhol ha prodotto dischi e gestito band come i Velvet Underground; Haring e Scharf si muovevano con naturalezza tra i club e le gallerie; Basquiat suonava in un gruppo no-wave e ha collaborato con Rammellzee per la creazione del celebre vinile “Beat Bop”. La musica, soprattutto quella urbana – dal punk all’hip-hop – ha offerto ritmi, simboli e codici visivi che si sono riversati sulle tele e sui muri, dando vita a un linguaggio ibrido, energico, inarrestabile. In mostra, questo dialogo emerge sia nelle opere iconiche che nei materiali d’archivio, come copertine, flyer e fotografie, che restituiscono la vitalità di un’epoca in cui arte e musica erano parte di un’unica pulsazione creativa.»
Quale è l’influenza più significativa che Warhol, Basquiat, Haring e Scharf hanno avuto sull’arte contemporanea e sulla cultura visiva odierna, inclusi i social media?
Falcioni: «La loro influenza è oggi visibile ovunque: nelle gallerie, nella moda, nei linguaggi pubblicitari e, soprattutto, nel modo in cui comunichiamo visivamente. Warhol ha anticipato il concetto di serialità e ripetizione che oggi caratterizza la produzione di contenuti sui social. Basquiat ha ridefinito la figura dell’artista come essere iconico, vulnerabile e profondamente umano. Haring ha trasformato l’arte in un linguaggio universale, accessibile, immediato. Scharf, infine, ha esplorato con ironia e colore l’estetica pop più sfrenata, anticipando il gusto per il kitsch digitale e in un qualche modo anche la cultura meme. Tutti, in modi diversi, hanno contribuito a dissolvere i confini tra arte alta e bassa, aprendo la strada a un’estetica condivisa che oggi si esprime anche attraverso le piattaforme digitali.»