Aggiornato al 01/10/2021 - 07:21

Il latinista Concetto Marchesi: perché sono comunista!

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[vc_row][vc_column][vc_text_separator title=”Convivio, Rubrica a cura di Mario Blancato”][vc_column_text]Nell’anno del centenario della fondazione del Partito comunista d’Italia, Luciano Canfora ha già dato alla stampe due libri che a quello storico evento ineriscono: per Laterza, «La metamorfosi», dove si spiega perché e percome il Pcd’I, quando nel 1943 diventò Pci, non cambiò solo il nome, ma anche tattica e strategia politica per volere di Palmiro Togliatti; per Sellerio, la curatela di «Perché sono comunista», pp. 105, € 12,00, in cui sono raccolti tre discorsi in pubblico – 5 febbraio 1956 (“Perché sono comunista”), 16 aprile 1945 (“La persona umana nel Comunismo”), dicembre 1956 (“Testamento politico”) – di Concetto Marchesi, cioè dell’insigne latinista catanese che di quel partito fu uno dei fondatori e di cui, forse più di tanti altri intellettuali, nel quasi quarantennio di vita militante (1921-1957), incarnò la complessità e anche le contraddizioni.

il libro Sellerio su Concetto Marchesi

Perché Marchesi era egli stesso personaggio controverso e complesso, il cui marxismo Togliatti, nella commemorazione funebre pronunciata alla Camera il 14 febbraio 1957, definì “anomalo”. Marchesi infatti, secondo la lettura del Segretario del PCI, percepì il marxismo come «un modo di pensare rivoluzionario» capace di incidere nel corso delle cose e di trasformarlo anche grazie «all’azione dell’uomo», però lo giudicava “non sufficiente” a spiegare “l’aldilà delle cose”, l’ignoto, il mistero, che c’è oltre la realtà. Forse per questa ragione, che intrigava anche Togliatti, «l’ultimo Togliatti», quello «dei ripensamenti radicali», Marchesi fu dal Migliore definito nel 1962 «il più originale dei pensatori moderni». «Forse – commenta Canfora concludendo l’Introduzione – proprio per la sua radicale fuoriuscita dal dogmatismo».

Del resto, lo stesso Marchesi si definiva “seminatore di dubbi”, pur riconoscendo che i comunisti non sono «soltanto i tesserati di un partito», ma «gli animati di una fede […] suggellata dalla necessità della nostra esistenza». Tuttavia, nel discorso del 16 aprile 1945 precisava che «noi comunisti non possediamo una Bibbia e non abbiamo una verità rivelata iniziale ed immutabile: la verità sentiamo quale assidua ricerca del pensiero, quale esigenza insaziabile dello spirito e quale dono continuamente operativo dell’arte». E soggiungeva che «il marxismo non è una dogmatica, è una scienza che progredisce mediante una continua elaborazione di esperienze e una continua indagine dei fatti; è la scienza del movimento proletario, per la costruzione della società socialista…», che non è affatto vero che «voglia sommergere e annullare nella folla, nel numero, il tesoro della persona umana», come andavano predicando allora i cattolici nemici del comunismo.

siracusapress
Il sovversivo, luciano Canfora su Marchesi

Sono piuttosto i cattolici, anzi le gerarchie della Chiesa cattolica, che hanno tradito la predicazione rivoluzionaria di Gesù Cristo che «ha sempre esortato i ricchi a vivere cristianamente e li ha minacciati del grave pericolo che ad essi incombe, di essere privi del regno dei cieli. Ha detto ai poveri: sperate nella misericordia di Dio». Invece, incalza Marchesi nel discorso in cui racconta come e perché diventò comunista, «con chi si trova

alleata, oggi, la Chiesa? Con quelli cui dovrebbe essere negato il regno dei cieli, con quelli che dovrebbero perire di spada, perché feriscono di spada», avvalorando così l’assoluta inconciliabilità tra Chiesa di Roma e socialismo. «Ma inconciliabili non sono – oppone Marchesi – socialismo e cristianesimo, socialismo e cattolicesimo», perché giustizia e libertà, specialmente in pro degli ultimi della terra, sono il fine di entrambe le dottrine, se non fosse che i clericali «hanno disertato il regno di Cristo dove non c’è posto per gli Eisenhower, per i Dulles, per gli Adenauer» e «vogliono che le leve di comando restino dove finora sono state e che una casta di potenti, come nei secoli scorsi, abbia al suo dominio una massa di umiliati, sfruttati, disperati, cui si possa gettare il tozzo della carità…».

Non si può dire che, tre quarti di secolo dopo quella denuncia di Marchesi, si siano, non diremo sciolte, almeno allentate le “relazioni pericolose” tra Chiesa e capitalismo, tra gerarchie cattoliche e poteri forti dell’economia e della cultura della destra reazionaria e antiprogressista. Prova ne è che i teocon, scandalizzati e terrorizzati dal francescano pauperismo ecologista su cui papa Francesco ha fondato il suo pontificato, non hanno esitato a dare del comunista al Papa “venuto dalla fine del mondo”. Bergoglio, comunque, quell’accusa farisaica l’ha facilmente liquidata con le parole semplici della verità: «Non sono comunista, ma seguo il Vangelo … Io sono credente in Dio e in Gesù Cristo, per me il cuore del Vangelo è nei poveri».

 

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