Aggiornato al 12/09/2021 - 10:50

Siracusa, noi e il professore Amato

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[vc_row][vc_column][vc_single_image image=”24490″ img_size=”large” alignment=”center”][vc_text_separator title=”di Sebastiano Grimaldi”][vc_column_text]

Siracusa, 11 settembre 2021

 

Un temporale avvolge la città, in una giornata tristemente adagiata sul crinale delle stagioni.

La città si è svegliata più povera (affermazione – absit injuria verbis – a volte francamente abusata).

Dopo una malattia insorta inaspettatamente e combattuta con coraggio ed onore, il Prof. Sebastiano Amato, Nello, ci ha lasciati.

Negli ultimi tempi presagiva egli stesso un declino, che probabilmente non immaginava così celere, ma la sua attività di studioso era, come sempre, febbrile. Dopo la recente pubblicazione del volume Dissertazioni al tempo del Coronavirus a giugno aveva raccolto e curato tre suoi saggi inediti in un volume, che proprio in questi giorni sarà pubblicato.

Aveva fretta, tuttavia. Mi aveva chiesto una postfazione di taglio giuridico sul saggio sull’Eratostene di Lisia: “quest’estate deve uscire, non hai molto tempo per scriverla”. Aveva fretta.

Ma questa non è una commemorazione. Sono ancora una volta spigolature.

E’ dunque piuttosto un omaggio aneddotico.

All’uomo, all’intellettuale, allo studioso, all’educatore.

Siracusa, settembre 1986

 

Il triennio del liceo è appena iniziato. Tra un’ora e l’altra attendiamo il professore di greco. Il Professore Amato.

La fama lo precede. È il vicepreside. Uno che al Gargallo fa mille cose. Traduce le tragedie per le rappresentazioni che il liceo mette in scena, studia il greco moderno, fa mille cose per la scuola. E se c’è qualcosa che non va, la sua voce tuona dai balconi e dalla finestre del primo piano e arriva come i fulmini di Zeus sul cortile interno del liceo.

Una celebrità, diciamolo. Che se avevi lui come professore, non avevi solo il docente delle materie più caratterizzanti del liceo classico: potevi dire che tu avevi come insegnante il Professore Amato come una medaglia da sfoggiare in quelle confuse, straordinarie temperie adolescenziali.

Entra in classe elegantissimo, come sempre, fisico asciutto, sguardo severo, in cui lampeggiano attimi infinitesimali di intelligentissima ironia. È immediatamente il professore preferito dalla componente femminile della classe. Ma il bello deve ancora arrivare.

Siracusa, inverno 1986

 

Il Professore Amato ha corretto i nostri primi compiti di greco. C’è grande attesa.

Si apre la porta: “avete combinato un vero schifo!”. Impietriti.

Comincia la consegna degli elaborati, mestamente ci avviciniamo alla cattedra per raccogliere il frutto delle nostre fatiche. Il confronto è impari. Lui è il Professore Amato. Noi siamo praticamente nessuno!

Mi avvicino, vacillante e affranto: “quattro e mezzo, buono insomma, tranquillo, vai a posto”.

Quell’affermazione sul momento mi sembrò quasi una follia. Col senno del poi comprendo che in quella esclamazione iniziale che preannunciava il diluvio c’era la autorevolezza dello studioso inarrivabile condita con l’ironia comprensiva nei confronti dei liceali appena arrivati; e nella bonaria rassicurazione tutta la sapienza di guardare lontano dell’educatore vero.

Abbiamo sedici anni ma oggi siamo diventati grandi.

Siracusa, primavera 1987

 

I classici greci spiegati dal professore Amato sono una meraviglia.

Le sue letture in greco hanno il tono stentoreo non di un veterano, ma di uno che è cresciuto a Corinto nel quinto secolo avanti Cristo. La voce del professore Amato è ferma ma è impossibile descriverne l’effetto dissociandola dagli sguardi brevi e penetranti che ne sottolineano la esatta direzione.

Interrogazione disastrosa su una tragedia di Eschilo. Talmente disastrosa che il professore domanda al malcapitato: “scusa, ma chi sta parlando in questo passo?”. Un suggerimento dai primi banchi viene percepito male dall’interrogato e la risposta diventa “l’autrice” anziché la nutrice. Amato sbianca: “ah, l’autrice…ti prego, vai al posto”!

Ma ormai noi l’avevamo capito. Non riusciva a infierire, se non con intelligente ironia. Ogni volta che il professore stava per liquidarti, non c’era mai supponenza; e per giunta ci stava, era giusto così, lui è il professore Amato, e noi lo sapevamo. E poi alla fine, anche alle gite dopo sfuriate epiche, c’era sempre quella mezza, o forse quel quarto di parola comprensiva, che era come dire “vabbè, sù carusi…”.

Noto, maggio 1987

 

Il professore Amato ha tradotto Ghiannis Ritsos, un poeta greco contemporaneo, e la nostra classe avrà il privilegio di assistere alla manifestazione che si terrà al teatro comunale di Noto.

La componente maschile diventa il servizio d’ordine al teatro di Noto incrociandosi amabilmente con un istituto interamente femminile coinvolto nell’iniziativa.

Esistono occasioni importanti di crescita fuori dalla scuola. Di cui si può essere “facitori”, ma anche interpreti, partecipi, sodali. Costruiamo quei giorni e quella manifestazione anche con le nostre mani. Esistono dunque occasioni per diventare uomini e donne fuori dalla scuola, facendosi strumento e attori della vita culturale di una comunità, in una strada, in un teatro, in uno spazio pubblico, in cui si comincia a capire meglio noi stessi e gli altri. E come va il mondo.

Stiamo crescendo ancora. E quelli accanto a lui sono ancora dei privilegiati.

Campagna di Siracusa, estate 1987

 

Vado a trovare il mio amico Luigi. Ci vediamo spesso ma mi accosto alla sua casa di campagna sempre con un certo timore reverenziale; suo padre è il mio professore di greco ed incontrarlo mi imbarazza. Altri tempi, si dirà.

La torrida estate di quell’anno è l’ultima estate del liceo.

Il professore è lì, assorto nei suoi studi. È circondato dai suoi gatti, che hanno ovviamente nomi classici: Assurbanipal, Nabucodosor e così via.

Sta traducendo una tragedia di Euripide. Trascorre così le sue estati. Si può essere immersi nello studio anche nell’estate siracusana, con 40 gradi all’ombra. Probabilmente solo se si è autentici epigoni di quella straordinaria intellettualità di letterati, di poeti, di storici, di oratori che ha fatto grande la Siracusa capitale della Grecia di Occidente.

Dunque c’è una strada che conduce l’uomo a coltivare con incredibile costanza la conoscenza per stare meglio al mondo. Per avviarsi al mondo. È una strada stretta. Ma c’è.

Siracusa, autunno 2019

 

Il professore Amato è da anni il Presidente della Società di Storia Patria ed io lo sento sempre più spesso da componente del Direttivo della Società.

Avvocato, scrivila tu questa cosa che ci vuole la chiave giusta, poi io ci do un’occhiata e la abbissiamo”; “professore, non si preoccupi, lo faccio con piacere”.

Quel “tu” dopo la parola “avvocato” era la ovvia prosecuzione del nostro rapporto; così come la mia risposta era l’inevitabile riconoscimento del suo ruolo di educatore nel mio percorso di vita.

In questi ultimi anni questo profilo dell’educatore nella mia percezione non si era mai dissolto, ma confuso piuttosto con quello dell’infaticabile studioso. Un vero scienziato del mondo classico con una padronanza spaventosa e una cura filologica dello scibile della classicità greca e latina.

Quando di recente ho presentato il suo ultimo volume delle Dissertazioni insieme al Prof. Elio Cappuccio era già iniziato il suo percorso di sofferenza. E tra una cosa è l’altra, con un velo di amarezza per le sue condizioni di salute, si commentava, fuori dalla presentazione, quanta parte occupasse la figura del professore Amato nello spazio culturale di questa città e quanto sia difficile che una figura del genere si manifesti.

Ora proviamo tutto il vuoto che avevamo presagito. Un vuoto che oggi merita di essere colmato dagli onori doverosi della città che amava. Basterebbe solo la monumentale opera sulla seconda campagna ateniese contro Siracusa ad attribuirgli il diritto di un ricordo perenne della nostra comunità cittadina. Ma lasciamo ai nostri amministratori questa riflessione.

Noi continuiamo a godere, finché avremo luce, dei frutti al sole di un Uomo che ha ben seminato.

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