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Cori Amenta, transessuale netina, ma soprattutto artista, designer, stylist e dj che ha vissuto, studiato e lavorato a Milano per poi tornare a Noto, si racconta a SiracusaPress
Tra il barocco e la rinnovata vitalità di Noto, brilla il talento poliedrico di Cori Amenta, artista, designer, stylist, dj. Una mente creativa, ma anche una persona con una storia da raccontare, una storia fatta di scelte, di lotta, di conquiste, che ha saputo trasformare in forza e in arte anche le cose più spiacevoli. Cori è nata a Noto e qui ha vissuto fino alla maturità, per poi scegliere di andare via, lasciare gli affetti e una città che, all’epoca, le stava stretta, per tante ragioni. Milano, così, divenne il luogo dei suoi studi, della sua maturazione, del suo percorso di crescita e di cambiamento.
Cori è transessuale e ha vissuto sulla sua pelle le discriminazioni che questo Paese le transessuali subiscono, nella vita come nel lavoro. Ma non si è abbattuta, il suo carattere forte, la sua testardaggine l’hanno portata a reagire sempre, a prendere le situazioni di petto e mutarle in qualcosa di positivo. Anche nel dorato mondo della moda, in apparenza lontano da logiche omotransfobiche, si è trovata a dover difendere la propria identità. Piccole e grandi ingiustizie non l’hanno mai fermata. Anche nella vita di tutti i giorni. Come quando Cori è stata protagonista, suo malgrado, di un episodio orribile, accaduto all’aeroporto di Catania: lì venne apostrofata in modo offensivo da agenti addetti ai controlli che si erano accorti della sua transessualità. Un episodio che l’ha fatta soffrire ma anche reagire, con la creazione di una linea di teste di Caltagirone attraverso cui si racconta.
Oggi, Cori è tornata a Noto, dove collabora con la galleria Spazionoto, espone, partecipa ad eventi e li arricchisce con le selezioni musicali del suo dj set. Una vita piena e tante forme di espressioni diverse, questa è Cori Amenta, che si è raccontata in un’intervista a SiracusaPress.
Moda, arte, musica, tanti follower che ti seguono su instagram. Ma tutto è iniziato dalla moda, giusto?
Sì, dopo la maturità mi sono trasferita a Milano e lì ho studiato all’istituto Marangoni, una scuola di moda abbastanza famosa, quindi ho cominciato a lavorare nella moda. Prima come designer per diversi stilisti, poi come stylist per diverse case editrici, infine come stylist in esclusiva per Dolce&Gabbana, ma vestivo solo le celebrities e diversi personaggi pubblici. Contemporaneamente disegnavo sedie per diverse aziende friulane.
È vero che, contrariamente a quanto si possa immaginare, quello della moda è un ambiente transfobico?
Posso dire che sicuramente è un ambiente molto chiuso, molto selettivo. Ovviamente, è un settore notoriamente monopolizzato da una popolazione gay e, quindi, quando tu sei comunque diversa, perché non sei più gay, ma sei una trans, vieni in qualche modo discriminata. Forse la parola transfobica è un po’ impegnativa, però sta di fatto che il mio essere trans nella moda mi ha portato a perdere clienti e nel 90% dei casi li ho persi perché chi avevo davanti aveva le sopracciglia più curate delle mie, la barba e la camicia a quadri.
Quindi possiamo dire che le transessuali sono la categoria di persone più discriminate?
Siamo la categoria peggiore di tutte le minoranze, la più minuscola, quindi la più additabile, la più ingestibile e la meno interessante. Per questo noi trans veniamo prese di mira. Ricordo bene quando, fino a pochissimi anni fa, nei locali gay le trans non potevano entrare. E parlo di Milano, non di Beirut o Marrakesh. Questa è la realtà dei fatti. Oggi ci sono gay che per il 90% fanno i parrucchieri, le commesse, ecc., mentre le trans per il 90% sono costrette a fare le marchette. E non perché ne hanno tutta questa gran voglia, ma perché nessuno dà la possibilità di fare altro. Se su 10 commesse ce n’è una trans, la cliente sceglie le prime 9. Un parrucchiere ti assume solo se tu sei strana e interessi in quanto trans, altrimenti è dura. Per farcela, devi essere più bella, più curata, più brava, più intelligente delle altre.
Ma perché, secondo te, sulle trans esiste un pregiudizio così forte?
Perché la nostra cultura è patriarcale, tutto il mondo gira intorno agli uomini. Se un uomo decide di non esserlo più, diventa un problema, perché viene percepito come uno che ha la fortuna di avere i pantaloni, ma preferisce mettere le gonne. Noi dobbiamo faticare per poter essere apprezzate per quello che siamo. Siamo come le donne degli anni ’70. Abbiamo i problemi che avevano le donne 50 anni fa. Dobbiamo essere eternamente giovani, eternamente sensuali. Per noi il problema dell’età è enorme, perché noi piacciamo se siamo belle, magre. Tutto è molto legato al corpo, al viso, all’estetica. La gente è spietata, lo siamo anche tra noi. Non guardiamo oltre il corpo.
Cioè?
Faccio un esempio. Parliamo di Elenoire Ferruzzi, che è entrata al Grande Fratello Vip. Lei, oltre a essere un’amica, è un personaggio molto forte, per il suo look e la sua fisicità. Dice delle cose molto forti e ovviamente è andata lì anche per questo motivo. Lei è emersa con il suo carisma, è stata brillante, ha giostrato l’intera puntata. Eppure nei commenti non si parla di cosa abbia detto Elenoire, si parlava semplicemente dei capelli, delle unghie finte, del peso, eccetera. Voglio dire che noi abbiamo anche delle cose da raccontare. Il fatto che la natura e il bisturi mi abbiano fatto così mi lusinga molto, sono molto felice, i complimenti me li prendo tutti, però io oltre ad essere una persona di un metro e 90 che riesce a camminare sui tacchi alti e sulle pedane, sono prima di tutto una che ha studiato molto e ha fatto tantissime cose. Mi piacerebbe che si parlasse di me anche per il mio talento, non solo per i vestiti che indosso. Oppure sarebbe bello che si parlasse più di come abbino i vestiti, dato che è il mio lavoro.
Hai deciso di tornare a Noto. Perché? Si dice che Noto sia ormai una meta molto apprezzata dalla comunità LGBTQ.
Sono di Noto, ma vivo a Milano da una vita. Noto negli anni ’80 era un posto più decadente, non c’era niente, tu uscivi e ti davano del “finocchio”. Nonostante questo, io negli anni ho portato i miei più cari amici, gruppi di 5-6 persone per volta, anche per farmi compagnia, perché a Noto c’era il mare bellissimo, ma poco altro. Anno dopo anno ho portato una volta cinque persone, poi dieci, sempre ospiti miei. Una volta ho ospitato il responsabile di un importantissimo showroom, che poi ha comprato una casa a tre piani qui. Lui, a sua volta, ha portato il suo amico stilista che ha comprato un palazzetto. Insomma, non voglio dire che è successo grazie a me, ma di certo ho contribuito a far conoscere Noto a una comunità che la sconosceva completamente. Poi negli ultimi anni c’è stata la Ferragni, ora Madonna. Ma io parlo di tanto tempo fa.
A proposito, ma quanti anni ha Cori Amenta?
Non te lo dico neanche se mi implori!
Va bene, allora parliamo di Spazionoto, una bella realtà con la quale tu collabori.
Spazionoto è una galleria molto interessante, di proprietà del mio caro amico Paolo Perelli. Lui ha avuto questa idea molto bella di fare una galleria d’arte a Noto con focus su una tematica specifica. Qui, gli artisti sono tutti gay o trans, da Eva Robbins a Pedro Almodovar e altri nomi famosi. A Spazionoto ci si racconta, si racconta il mondo LGBTQ.
Ci sei anche tu, ci sono anche le tue opere?
Tutto nasce da una cosa molto spiacevole che mi era successa all’aeroporto di Catania, quando i poliziotti mi avevano offeso, mi avevano urlato delle cose brutte. Dopo quell’episodio, che era diventato virale, avevo disegnato in un quadernetto una testa con i tentacoli di polpo. Questa testa aveva la mia faccia ed è stata la prima opera della mia linea Verus by Coriamenta. Queste teste hanno praticamente il mio volto e attraverso esse io racconto quello che mi succede, però travestita da moro di Caltagirone. Comunque, a quel punto parlai con Paolo e gli dissi che volevo creare una collezione di teste di Caltagirone e gli chiesi di aiutarmi. Mi rispose di crearle, che poi lui avrebbe pensato a venderle. Così è nata la collezione e anche la collaborazione, che però è più una collaborazione di amicizia. Con Paolo, infatti, lavoriamo e ne sono felice, ma soprattutto lui è un amico, andiamo insieme a cena o al mare. Questo secondo aspetto è quello più importante.
Com’è adesso Noto? Una persona trans può viverci tranquillamente o ci sono ancora episodi di intolleranza?
Io penso che c’è un problema di fondo che bisognerebbe sdoganare. Al di là delle sigle che etichettano un genere, io sono prima di tutto una persona e frequento persone serie, perbene, che fanno lavori favolosi, che hanno mariti, mogli e figli, case, ecc. Alla fine, alla gente che parla con me e scopre che sto con un uomo, con una donna o che vivo con un cane, cosa importa di questo, visto che io non partecipo attivamente alla loro vita? Detto questo, le persone di Noto sono furbe, perché ovviamente se i gay o le trans sono persone note o ricche, che si sono comprate mezza isola, o magari miliardarie, fotografi famosi, nessuno si sogna di dire una parola. Solo che vorrei vedere come si comporterebbero se davanti a loro ci fosse un fotografo di matrimoni e non un grande fotografo. Ad ogni modo, io me ne frego. Posso dire solo che a Noto oggi c’è una comunità di persone interessanti, brillanti, e ora la città è viva anche in inverno. Penso che la maturità di un posto sia dettata anche dalla diversità delle persone che lo frequentano. E in tal senso Noto è diventata molto interessante. Io vedo una propensione nel cercare quantomeno di ascoltare. Nella vita non possiamo piacere a tutti però l’importante è rispettare sempre l’altro. Io non aspiro a essere la Carrà, non pretendo di piacere a tutti, può capitare che io faccia antipatia, però non per questo devo essere insultata o derisa e subire tutte quelle cose che purtroppo ancora accadono. Poi c’è una cosa che vorrei dire a tutti gli italiani.
Cosa?
A tutti quelli che dicono “ma cosa volete ancora? Vi abbiamo già dato le unioni civili”, rispondo che noi siamo persone che abbiamo gli stessi diritti di tutti gli altri, come la Costituzione stessa prevede. Però se proprio volete dimezzare i nostri diritti, allora propongo di dimezzarci anche le tasse, perché se non siamo come gli altri allora non dovremmo pagare come gli altri. Che ne dite?
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