[vc_row][vc_column][vc_text_separator title=”Convivio, a cura di Mario Blancato”][vc_column_text]A Siracusa, il culto di Artemide doveva avere un’area sacra in Ortigia, dove si stanziò il nucleo iniziale della colonia greca. Paolo Orsi riteneva che l’area “intorno all’Athenaion” dovesse essere occupata da un’area sacra (temenos), che racchiudeva edicole e piccoli edifici con ex voto. Durante gli anni Sessanta furono riportati alla luce, sotto il palazzo del Senato, le strutture di fondazione di un tempio ionico, datato alla fine del VI secolo a.C.
In questo sito, già frequentato durante l’età del bronzo forse già con una destinazione sacra, fra il VII ed il VI secolo a.C. fu realizzato un tempio di m. 16,20 × 10,50 e con orientamento est-ovest. Al suo interno fu incorporato un edificio preesistente di m. 9,20 × 6, di cui sono state individuate le fondazioni, la struttura muraria perimetrale ed alcuni elementi dell’elevato. In base ai materiali archeologici rinvenuti, soprattutto per i frammenti ceramici della cosiddetta classe di Thapsos, si è potuto datare quest’edificio all’VIII secolo a.C.
Questo edificio sacro del tipo “ad oikos”, con pianta rettangolare, doveva ospitare il più antico culto di Siracusa, come già intuiva Orsi. La presenza di fosse votive (thysiai), dalle quali provengono soprattutto ceramiche protocorinzie, confermano questa ipotesi. Verso la metà del VII secolo a.C. questo oikos fu incorporato in un edificio templare più grande, che rimase in uso fino al IV secolo a.C. Connessi con l’area sacra sono due pozzi di età greco-arcaica, scavati nel banco roccioso, dai quali provengono materiali che vanno dalla metà del VII al IV secolo a.C.
Per la determinazione del culto è stato di fondamentale importanza il rinvenimento di una oinochoe corinzia del tipo a fondo piatto della prima metà del VII secolo a.C., con la raffigurazione della “Signora delle belve” (potnia theron). Questa divinità è stata identificata con Artemis Agrotera e la presenza di una sua rappresentazione su un vaso proveniente dalla più antica area sacra di Siracusa può essere un valido argomento per ipotizzare un suo culto risalente a pochi decenni dopo la fondazione della colonia greca.
Presso la porta nord di Siracusa, detta Hexapylon, ancora oggi sono visibili diverse grotte, alcune delle quali furono oggetto di indagini archeologiche da parte di Paolo Orsi all’inizio nel 1890 e nel 1896.

Le scoperte più significative avvennero però nel 1900, quando l’archeologo roveretano riporta puntualmente nei suoi taccuini:“Presso lo stradone, ed aperte nei margini settentrionali della terrazza siracusana, si aprono alcune grandiose grotte naturali, che vennero usufruite a scopi diversi in tempi preistoricie storici. In una di esse, molto profonda, accanto a poche ossa fossili io raccolsi scarsi manufatti ceramici del primo periodo siculo, ma due altre attigue attiravano da anni la mia attenzione siccome quelle, che, poste a lato della grande arteria stradale che esce dall’Hexapylon, avevano a più riprese mostrato tracce di culto greco. Già da oltre trenta anni vi si erano scavate delle terrecotte, alcune delle quali sono in museo senza precisa indicazione”.Il successivo studio di queste statuette, che già Paolo Orsi riproduce con una serie di disegni nella sua pubblicazione, rivelò subito la presenza di un luogo di culto rupestre dedicato ad Artemide. Nella maggior parte dei casi i frammenti di statuette fittili fanno parte della rappresentazione della dea con un animale, che in genere è un cervo.Fra le statuette rinvenute da Paolo Orsi nel santuario di Viale Scala Greca si trovavano anche alcuni frammenti raffiguranti la dea Artemide vicino ad una palma, una tipologia abbastanza diffusa nella Sicilia sud-orientale. Nel VI libro dell’Odissea, quando Ulisse naufrago si rivolge a Nausicaa dicendole “vidi a Delo, vicino all’altare di Apollo, una volta, un giovane germoglio di palma levarsi così” (vv. 162 –163). L’isola ed il culto di Apollo dovevano essere familiari all’uditorio, che conosceva anche l’Innodi Apollo(vv. 146 –164). La datazione dell’inno rimane ancora incerta, mentre il materiale archeologico rinvenuto a Delo nei contesti relativi all’VIII secolo a.C. sembra interamente cicladico.La palma, Phoinix dactyliphera, non è indigena sulle sponde settentrionali del Mediterraneo e di rado vi fruttifica. Questo passo costituisce l’unico cenno in Omero, le cui conoscenze botaniche sono statepiuttosto criticate. Egli, infatti, ritiene che la palma giovane sia alta e snella, come l’esemplare adulto, mentre è bassa e tozza. A Delo si trovava una palma famosa, che secondo la tradizione avrebbe sorretto Leto durante il parto di Apollo ed Artemide, sebbene difficilmente si possa pensare che quella palma fosse ancora giovane al tempo della visita di Odisseo.

La longevità di quest’albero fu assicurata dalla fama letteraria, come testimonia Cicerone (Leg.I, di 1), escludendo che si tratti della palma Leto (Plinio, Nat. Hist.XVI, 99), anche se il termine in greco era già noto in età micenea. Nelle Etimologie o originidi Isidoro di Siviglia (XVII, 6, 1) viene data una definizione della pianta: “La palmaè stata così chiamata in quanto ornamento della mano vittoriosa, ovvero perché i suoi rami si distendono come la palmadella mano umana”. Si tratta, infatti, dell’albero simbolo di vittoria, dai rami nobili ed eleganti, sempre vestito di fronde e di foglieperenni. In quanto dotata di vita assai lunga, i Greci la chiamano phoenix, dal nome del noto uccello dell’Arabia che si dice viva moltissimi anni. Sebbene nasca in numerosi luoghi, i suoi frutti non giungono a maturità ovunque. È assai comune in Egitto eSiria. I suoi frutti sono chiamati dactylia causa della loro somiglianza con le dita di una mano ed hanno nomi diversi: di fatto alcuni sono chiamati palmulae, simili ai mirobalani; altri sono detti tebanio nicolai(dal nome di Nicola Damasceno, segretario di Erode il Grande; cfr. Ateneo, XIV, p. 652 a; Plinio, Nat. Hist., XIII, 9, 45); altri ancora nucales, letteralmente “simili ad una noce”. Se passiamo ad analizzare l’iconografia di Artemide e la palma possiamo osservare dei confronti estremamente importanti anche in Grecia. Da Mantinea, nel Peloponneso, proviene parte di un rilievo raffigurante una figura matronale in trono, seduta su una sedia dalla spalliera ricurva, accanto ad una palma. L’attenzione dell’osservatore viene attirata dalla presenza di una figura maschile più piccola, sdraiata immersa nel sonno ai piedi della palma. In questo caso la pianta costituisce un chiaro riferimento al santuario di Apollo, presso il quale il personaggio addormentato aspetta il vaticinio mediante la pratica dell’incubazione.Tale pratica, sebbene non fosse fra le più frequenti fra i rituali apollinei ma caratterizzasse piuttosto il culto di Esculapio, doveva essere piuttosto comune presso alcuni luoghi di culto. La presenza della palma si collocava nell’iconografia tradizionale legata al culto di entrambi i figli di Latona.Il culto di Artemide, oltre ad essere un elemento in comune con la madrepatria Corinto, doveva avere a Siracusa anche un aspetto agreste.Proprio a questo culto si può attribuire il santuario nella grotta di Scala Greca. In questo caso potremmo anche avere un culto con carattere ctonio, la cui esistenza ci è nota anche in una delle subcolonie di Siracusa, Camarina, dove sono state rinvenute statuette fittili di Artemide con un serpente.A Siracusa, oltre al santuario urbano, esistevano anche numerosi altari e piccoli sacelli sparsi all’esterno o in prossimità delle mura urbiche, soprattutto in prossimità delle vie frequentate dalle transumanze e dai cacciatori. Un santuario di Artemide situatonelle vicinanze delle mura poteva anche essere un punto di incontro tra la città ed il resto del territorio.
[/vc_column_text][vc_text_separator title=”Giancarlo Germanà – Archeologo”][/vc_column][/vc_row]