[vc_row][vc_column][vc_text_separator title=”Convivio, rubrica a cura di Mario Blancato”][vc_column_text]In ogni descrizione del sito di Megara Hyblaea si trova sempre qualche immagine in cui ai resti archeologici fanno da sfondo un paesaggio di ciminiere ed il pontile dello stabilimento petrolchimico. Le ricerche archeologiche, iniziate già nel XIX secolo, hanno visto l’area archeologica restringersi progressivamente in un assedio sempre più serrato che ha sempre posto problemi di tutela e fruizione. L’intensa attività degli scavatori clandestini e i danni causati dai lavori agricoli arrecarono notevoli danni al sito e di questi problemi si dovettero occupare, dagli anni Settanta del XIX secolo, Francesco Saverio Cavallari, allora Direttore delle Antichità di Sicilia, ed il giovane Paolo Orsi, nominato nel 1888 ispettore del Reale Museo di Siracusa.
Nel 1890 veniva pubblicato da entrambi il primo studio su Megara Hyblaea. Nella prima parte, Orsi presentava la storia del sito, mentre nella seconda parte, intitolata Topografia, Cavallari riportava la storia degli scavi dal 1879 al 1889. Le due trattazioni concordano solo in parte, ma entrambi ricordavano come tra il 1879 ed il 1889 le necropoli megaresi furono saccheggiate dagli scavatori clandestini, secondo Cavallari “senza alcun utile pel proprietario e per la scienza”.
Di questo periodo abbiamo poche notizie, ma Cavallari scrive che Acton, viceammiraglio in carica ad Augusta fra il 1884 ed il 1885, ricevette “in dono da taluni proprietari… vari idoletti di terracotta e altre anticaglie e fu dato il permesso di frugare le necropoli, in parte per accertarsi della provenienza di quei cimeli”. Grazie alla determinazione di Paolo Orsi, si aprì un’inchiesta, scaturita dalla vendita di vasi e monili d’argento fatta da alcuni contadini a Siracusa, che portò alla scoperta di alcune “colonne” fatta in occasione di alcuni lavori agricoli nella proprietà Vinci. Approfittando della visita del principe di Scalea, Commissario Reale delle Antichità di Sicilia, Paolo Orsi riuscì a fare riprendere gli scavi a Megara Hyblaea, sia nelle necropoli sia presso l’edificio a colonne appena scoperto.[/vc_column_text][vc_single_image image=”11878″ img_size=”medium” title=”Paolo Orsi”][vc_column_text]Questi scavi si rivelarono di enorme importanza in quanto riportarono alla luce gran parte delle mura arcaiche. Nei “taccuini” di Paolo Orsi, leggiamo che, nel 1891, ripresero gli scavi nella necropoli occidentale, che proseguirono nei due anni successivi nella necropoli meridionale e nei pressi della casa Vinci. Qui fu riportato alla luce parte di un deposito sacro, di cui facevano parte frammenti di statue di terracotta a grandezza naturale ed uno xoanon (una statuetta che derivava da modelli in legno), il cui corpo acefalo era di forma cilindrica e con due monconi che indicavano le braccia.
Nel 1917, “dopo circa un quarto di secolo di sospensione”, Paolo Orsi riprese gli scavi alla ricerca dei resti di un tempio dorico arcaico. Le ricerche si protrassero fino all’anno successivo e si concentrarono all’interno della città, confermando la presenza del tempio arcaico. Le conclusioni dell’archeologo roveretano sono state ampiamente riviste con la ripresa delle indagini archeologiche nel secondo dopoguerra, tuttavia le sue ricerche permisero una prima ricostruzione dell’antico abitato. Nei decenni successivi, tra gli anni Venti e gli anni Quaranta, furono riportate alla luce le necropoli. Queste scoperte dimostrarono che, oltre alle tre grandi necropoli di Megara (necropoli nord-ovest, necropoli occidentale e necropoli meridionale), vi erano altre aree periferiche occupate da tombe. Le tre principali necropoli arcaiche di Megara Hyblaea si trovavano lungo gli assi di accesso alla città.
Negli anni Quaranta continuarono i rinvenimenti, sebbene fortuiti, come nel caso del kouros, scoperto in seguito ad una frana avvenuta nella necropoli meridionale. Ancora nel 1947 si segnalava il rinvenimento di un gruppo isolato di tombe ad ovest della stazione di Giannalena, tuttavia solo a partire dagli anni Cinquanta, come evidenziava Georges Vallet, si collocava una nuova tappa nella ricerca archeologica megarese. Nel 1948 la Scuola francese di Roma, sotto la direzione di François Villard, intraprese una prima campagna di scavo all’interno dell’abitato. Tra il 1951 ed il 1953, nella necropoli settentrionale, furono riportate alla luce numerose tombe di VI e V secolo a.C., insieme alla scoperta della famosa kourotrophos, ridotta dopo il rinvenimento in più di novecento pezzi, e di un gruppo equestre in calcare locale.[/vc_column_text][vc_gallery interval=”3″ images=”11882,11889″ img_size=”medium” title=”Kourotrophos acefala in pietra calcarea dall’area della necropoli settentrionale, metà del VI secolo a.C.; kouros in marmo insulare con dedica di Sombrotides, figlio di Mandrokles, metà del VI secolo a.C.”][vc_column_text]Un’altra importante scoperta archeologica avvenne nel 1970, quando fu riportata alla luce una tomba monumentale presso la stazione di Giannalena. L’anno successivo la Soprintendenza di Siracusa avviò le ricognizioni preventive di tutta la zona con la collaborazione della Scuola francese di Roma, a cui fu concessa la responsabilità scientifica dell’indagine archeologica. In questi anni si svolsero le prime quattro campagne di scavo dirette da Mireille Cébeillac Gervasoni, a cui seguì una quinta nel 1974 diretta da Michel Gras.[/vc_column_text][vc_column_text]Leggendo le comunicazioni degli scavi di quegli anni appare evidente che le indagini si occuparono all’inizio di tutto il sito, in particolare nei punti in cui le colture lo permettevano, attraverso piccoli saggi stratigrafici che dovevano fornire le indicazioni per una prima ricostruzione topografica della città antica. Nei decenni successivi, le indagini archeologiche hanno cercato di ricostruire le varie fasi della colonia megarese, partendo da una precisa ricostruzione dell’impianto urbano e dallo studio dell’enorme quantità di reperti archeologici riportati alla luce in tanti decenni di scavi.

Dal 1963 al 1965, grazie anche alla presenza di Paul Auberson, le indagini archeologiche si concentrarono nell’area dell’agorà e riguardarono questioni relative all’impianto urbano di età arcaica. Nel 1976 fu pubblicato Quartier de l’agora archaique, completato da un’accurata illustrazione grafica, che restituiva una prima ricostruzione completa dell’impianto urbano arcaico.
Tracciando un bilancio di quanto era stato possibile fare per tutelare il sito archeologico di Megara Hyblaea, Vallet riconobbe che non fu possibile salvare tutto. Per facilitarne la conservazione le grandi tombe a blocchi ed i sarcofagi furono smontati e collocati presso l’attuale ingresso al sito, ma le numerose sepolture nella terra e le fosse ad incinerazione sono andate perdute per sempre, sebbene gli studiosi possano cercare di ricostruire i riti funebri che si compivano nelle necropoli megaresi. A Megara Hyblaea, comunque, si continua a scavare e a studiare la storia dell’antica colonia greca. Il parco archeologico, con la storia e i tesori che racchiude, è un patrimonio che abbiamo il dovere di tutelare per potere essere trasmesso integro alle future generazioni.[/vc_column_text][vc_text_separator title=”Giancarlo Germanà”][/vc_column][/vc_row]