Aggiornato al 07/09/2021 - 13:42

Filippo Crescimanno, il mazziniano di Melilli

condividi news

[vc_row][vc_column][vc_text_separator title=”Convivio a cura di Mario Blancato”][vc_single_image image=”24174″ img_size=”large” alignment=”center”][vc_column_text]Senza alcun dubbio, uno degli uomini più importanti del panorama politico melillese è stato Filippo Crescimanno, figura di spicco del liberalismo democratico dell’ottocento melillese, nonché attivissimo artefice della lotta contro il Borbone.

Filippo Crescimanno nacque a Melilli il 3 febbraio 1823. Figlio del dottor Francesco e di Giuseppa Rizzo Neglia, rimase orfano di entrambi i genitori all’età di 11 anni. Per niente scoraggiato dalla scomparsa dei genitori, all’età di quindici anni abbandonò il centro ibleo e si trasferì a Catania, dove, dopo i primi anni difficili, riuscì ad essere ammesso all’Università etnea nella facoltà di Giurisprudenza, che però abbandonò dopo il primo anno di frequenza per iscriversi in medicina, laureandosi a soli ventuno anni di età.

L’esperienza catanese, dove frequentò i circoli liberali della città, fu molto importante per la formazione democratica e liberale del giovane Crescimanno, anche se successivamente gli precluse il raggiungimento di prestigiosi obiettivi professionali.

Rientrato a Melilli, dopo l’esperienza politica e sociale attuata nella città etnea, esercitò la professione di medico, continuando, però, a coltivare le idee democratiche mazziniane affiliandosi al partito liberale di Siracusa, dove entrò in contatto con i democratici aretusei Carmelo Campisi e Salvatore Chindemi, assieme ai quali si prodigò a diffondere segretamente fra i giovani, servendosi della stampa clandestina, le idee mazziniane.

Per tale attività clandestina fu osservato speciale, anche se discretamente, dall’occhiuta polizia borbonica, che, attraverso i suoi continui rapporti, spinse l’Intendente ad emettere un’ordinanza con la quale intimava a Crescimanno di raggiungere Noto, dove venne trattenuto per molto tempo affinché si discolpasse degli addebiti che gli venivano mossi dal Giudice di Melilli, Ercole Guzzardi.

Nonostante le difficoltà di dimora, a Noto strinse amicizia con Matteo Raeli e Antonio Sofia, futuri referenti di Garibaldi per la provincia di Noto.

Lo scoppio della Rivoluzione siciliana del 1848 lo trovò in prima linea, attivissimo nel partecipare a quei drammatici avvenimenti, convinto che la Sicilia potesse finalmente liberarsi dalla dominazione borbonica.

Infatti, assieme a un gruppo di liberali melillesi, il 29 gennaio 1848, inalberò il tricolore sulla guglia del campanile della Chiesa Madre, sfidando le truppe borboniche, comandate dal gen. Palma, che ancora non avevano abbandonato Siracusa, rimanendo rinchiusi all’interno del castello in attesa di ordini superiori. Nonostante la minaccia di possibili interventi militari, Crescimanno continuò l’opera di rimozione dei simboli borbonici.

Sull’onda dell’entusiasmo del successo per l’affermazione della rivoluzione, i Melillesi lo acclamarono Presidente del Comitato rivoluzionario di Melilli e, dopo la costituzione del Consiglio civico, il 2 luglio 1848, nella sacrestia della Chiesa Madre, venne eletto Presidente del Consiglio.

La prima preoccupazione di questo giovane democratico, nell’assumere la carica di presidente (aveva appena 25 anni), fu quella di garantire l’ordine pubblico e di evitare vendette e odi personali, che potevano scatenarsi fra opposte fazioni politiche. Per raggiungere questi obiettivi, costituì la Guardia Nazionale formata da operai aderenti alla Rivoluzione.

Quando la primavera della rivoluzione cominciò a sfiorire e i filoborbonici ritornarono al potere, il giovane Crescimanno venne accusato di essere stato il responsabile principale dei “disordini” che si erano verificati a Melilli, dimenticando come avesse invece lottato per proteggerli dalle vendette che potevano essere messe in atto dagli aderenti alla Rivoluzione.

La repressione borbonica, fagocitata dagli avversari politici, individuò nel Crescimanno il responsabile principale degli accadimenti succedutisi a Melilli e, per evitare rappresaglie, fu costretto alla latitanza, in quanto “era stato uno dei più accaniti nemici del Re” (S. Crescimanno).

Però la vita da latitante non si addiceva ad un uomo provato da tante disavventure; per cui affrontò la repressione borbonica, consapevole delle conseguenze a cui andava incontro. Infatti, nel 1853, per ordine del Luogotenente Generale Maniscalco, fu mandato al soggiorno obbligatorio a Palermo, affinché si discolpasse dei gravi fatti politici che gli venivano addebitati. Fu obbligato a rimanere a Palermo fino a nuovo ordine della polizia, che lo sorvegliava strettamente pedinandolo.

In quella città, strinse rapporti di amicizia con il Principe di Paternò; amicizia che mantenne anche dopo essere rientrato a Melli, dopo aver trascorso diversi mesi nel capoluogo siciliano.

Il suo rientro nella cittadina iblea fu preceduto da una lettera privata del Maniscalco all’Intendente di Noto, nella quale sottolineava “Essendomi determinato permettere che Don Filippo Crescimanno da Melilli, che trovasi da più tempo a soggiorno forzoso in Palermo, possa riedere in patria, ne prevengo lei, perché sia tenuto d’occhio e sorvegliato con speciale attenzione” (S. Crescimanno).

Nonostante la dura sorveglianza a cui era sottoposto, il Crescimanno non rinunciò a divulgare, segretamente, le idee liberali, democratiche e mazziniane, sulle quali aveva fondato il suo “credo” politico, fiducioso in tempi più propizi, che non tardarono a concretizzarsi.

L’11 maggio 1860 (12 anni dopo la fallita Rivoluzione siciliana) Giuseppe Garibaldi sbarcò a Marsala alla testa di 1089 volontari “camicie rosse”. Tre giorni dopo (il 14 maggio), con

proprio decreto, assunse, in nome di Vittorio Emanuele Re d’Italia, la dittatura della Sicilia. Fu l’inizio della rivolta contro il Borbone: in molti Comuni fu inalberato il tricolore e formate molte squadre armate di cittadini che si contrapponevano alle amministrazioni lealiste.

La spedizione garibaldina, infatti, almeno all’inizio creò molto entusiasmo fra i liberali siciliani, che in Garibaldi riponevano le speranze per l’affermazione della libertà, democrazia e unità.

Anche a Melilli, intorno alla figura del Crescimanno, crebbe l’entusiasmo per l’affermazione delle idee liberali e democratiche. Il 19 maggio 1860, accogliendo l’invito del comitato di Noto, i patrioti melillesi, quegli stessi giovani mazziniani che avevano partecipato alla fallita rivoluzione del 1848, inalberarono la bandiera costituzionale. Fu l’inizio della liberazione dalla dominazione borbonica e dell’avvio di quel processo unitario, al quale i patrioti melillesi aderirono entusiasticamente nelle prime fasi.

Ancora una volta in Crescimanno venne individuata la figura di maggior prestigio nel panorama politico e liberale del paese ibleo; a lui sarebbero state affidate le maggiori responsabilità politiche.

Infatti, il 25 maggio 1860, dopo l’elezione del comitato Civico, il Crescimanno venne acclamato presidente dello stesso. Ma, fra lo stupore dei presenti, dichiarò di non accettare la carica, nonostante le forti pressioni dei rivoluzionari liberali. Alla rinuncia inaspettata concorsero diversi fattori, primo fra tutti la presenza nel Comitato di esponenti politici borbonici, che avevano abbracciato inaspettatamente e senza farsene scrupoli la rivoluzione garibaldina: quegli stessi uomini politici che avevano ispirato la repressione poliziesca a Melilli, dopo il fallimento della rivoluzione. L’indice era puntato soprattutto sul sindaco David, filoborbonico fra i più convinti, che aveva ripetutamente chiesto l’allontanamento del Crescimanno da Melilli, in quanto elemento che spingeva alla rivoluzione e al disordine. E adesso ritrovava questi lealisti sotto la nuova veste di rivoluzionari garibaldini e antiborbonici Un comportamento non condiviso dal Crescimanno, che credeva nelle idee liberali, per l’affermazione delle quali aveva subito denunce ed esilio. Inoltre sulla sua decisione pesava anche la non condivisione della scelta monarchica di Garibaldi, che aveva abbandonato il credo mazziniano per schierarsi con il Cavour e la monarchia sabauda. Per cui, date queste premesse, Filippo Crescimanno rimise la carica di presidente, che però fu costretto ad accettare per le forti pressioni popolari. Carica che mantenne fino al 25 giugno, quando il governatore Antonino Monteforte nominò il Consiglio civico di Melilli, composto da 56 membri, fra cui 11 sacerdoti. Al Crescimanno, a sua volta nominato Delegato di Sicurezza Pubblica, venne affidata la responsabilità dell’ordine e della sicurezza. Carica che mantenne fino al 1863.

Tuttavia il clima politico a Melilli divenne sempre più ingestibile, a causa di sospetti che avvelenavano i rapporti fra famiglie. A causa di queste contrapposizioni e di delazioni, parecchi melillesi vennero arrestati perché ritenuti reazionari borbonici e rimasero in carcere

senza essere sottoposti a processo. Questo clima di odio e sospetti, per alcuni anni, non permise di esprimere una sindacatura e le sorti del paese vennero affidate a diversi commissari. Solo nel 1864 fu possibile nominare il primo sindaco post unità d’Italia e venne individuato in Filippo Crescimanno, che, suo malgrado, dovette accettare la nomina, nonostante la forte resistenza. Infatti, con reale Decreto del 22 maggio 1864 venne nominato primo sindaco di Melilli: carica che mantenne per tre anni, dal 1864 al 1867.

Con la conclusione del mandato sindacale si può ritenere conclusa il lungo periodo di impegno politico del Crescimanno, che si spense il 13 aprile 1887.

All’uomo politico, che aveva incarnato gli ideali di libertà e democrazia e che era stato l’artefice principale del Risorgimento a Melilli, il 14 aprile 1888 (stesso giorno dell’inaugurazione del palazzo municipale) venne intitolata la piazza antistante lo stesso Palazzo.

In quell’occasione, il presidente rivolgendosi ai consiglieri affermò: “Rivolgete il pensiero alla storia del nostro paese dal 1848 al 1887: esso vi presenta un nome caro e carissimo, un nome che si lega a tutte le vicende della causa nazionale, a tutti i progressi morali e materiali di questo paese, un nome che significa l’accordo di tre sublimi ideali: l’umanità, la patria, la scienza. Tale nome, o Signori, è quello del dott. Filippo Crescimanno” (Delibera Consiliare n. 66 del 14/3/1888).

Mi piace concludere con quanto scrisse il prof. Mario Blancato nella prefazione al mio “Melilli nell’Unità d’Italia” a proposito di questa importante figura del panorama risorgimentale melillese e non solo.

“Crescimanno è il tipico esponente mazziniano: rigido, solitario, rigoroso con sé e con gli altri, intransigente, con una concezione del dovere ai limiti della fede religiosa” (M. Blancato).

 

[/vc_column_text][vc_text_separator title=”di Paolo Magnano”][/vc_column][/vc_row]

Primo Piano

ULTIMA ORA

CULTURA

EVENTI

invia segnalazioni