[vc_row][vc_column][vc_text_separator title=”Rubrica a cura dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Siracusa”][vc_column_text css_animation=”fadeInLeft”]
Nella gran parte delle attività lavorative è pacificamente applicato il principio generale che le prestazioni rese debbano essere remunerate non soltanto in maniera dignitosa ma anche congrua rispetto alle mansioni affidate. Nei rapporti di lavoro dipendente il concetto è puntualmente codificato: sono previsti diverse qualifiche e livelli, paga base, monte orario, permessi e le ulteriori tutele tipiche della subordinazione.
Nel lavoro autonomo, e nelle prestazioni professionali in particolare, si verificano invece sperequazioni non più accettabili. Se nei rapporti con un normale cliente privato, il professionista è libero di negoziare il proprio compenso e di conseguenza di accettare o meno l’incarico, con i contraenti forti quali banche, assicurazioni o multinazionali ovvero con enti ed istituzioni pubbliche, la vicenda assume contorni diversi. Si assiste in molti casi a convenzioni unilaterali che impongono prezzi ben al di sotto dei parametri professionali se non addirittura a pubbliche amministrazioni (!) che affidano incarichi gratuiti – vezzo ormai diffuso in una visione distorta di risparmio della spesa pubblica – a consulenti esterni chiamati a svolgere anche funzioni rilevanti.
[/vc_column_text][vc_column_text]Basti pensare che vi sono esempi di tal genere non solo in Comuni e Regioni: anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze nel 2019 ha pubblicato un avviso pubblico per il conferimento di incarichi di consulenza a titolo gratuito “su tematiche relative al diritto bancario, societario e dei mercati finanziari, sia a livello nazionale che a livello comunitario” L’incarico – si leggeva nel bando – è a titolo gratuito con l’esclusione di ogni onere a carico dell’amministrazione ed avrà durata biennale.
Inaccettabile: si tratta di questioni che da tempo la categoria dei dottori commercialisti contrasta, rivendicando il diritto all’equo compenso delle prestazioni.
“Tutte le proposte di legge attualmente all’esame della Commissione prevedono un ampliamento più che significativo dell’ambito applicativo della disciplina dell’equo compenso, sia attraverso il superamento della nozione di cliente forte, sia tramite il riferimento a tipologie di accordo diverse dalle convenzioni unilateralmente predisposte. Si tratta di un fatto molto positivo, con il quale si prende evidentemente atto che la normativa attualmente vigente non è in grado di garantire una reale e concreta tutela dell’equità del compenso professionale”.
È quanto affermato lo scorso 12 maggio dal Vicepresidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, Giorgio Luchetta, nel corso dell’audizione odierna presso la Commissione Giustizia della Camera sulle tre proposte di legge in tema di equo compenso a firma Meloni, Mandelli e Morrone. “La disciplina attualmente in vigore – ha spiegato Luchetta – si applica esclusivamente ai rapporti tra professionista e cliente forte basati su convenzioni unilateralmente disposte da quest’ultimo, ossia con imprese bancarie o assicurative e con imprese diverse dalle micro, piccole e medie. Anche la Pubblica Amministrazione è tenuta a garantire il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti, ma questa previsione, seppur lodevole, non è sufficiente ad approntare un’efficace tutela al lavoro autonomo”. Tanto più, ha aggiunto Luchetta, che “i contraenti forti fanno spesso ricorso ad accordi formalmente diversi dalle convenzioni per evitare l’applicazione della disciplina e che c’è una riluttanza della PA nel riconoscere questo diritto ai professionisti”. Per questo, la proposta dei commercialisti è quella di “estendere la disciplina a un qualsiasi accordo con un diverso committente, eliminando dunque qualsiasi riferimento alla natura o alla dimensione di quest’ultimo e
auspicando che l’equo compenso possa tradursi in un compenso minimo obbligatorio, facendo riferimento ai parametri ministeriali”.
Proprio in tema di parametri ministeriali, i commercialisti propongono di “predisporre distinti provvedimenti che individuino i parametri specifici in relazione alla singola professione”. “La predisposizione di singoli decreti ministeriali – ha concluso Luchetta – costituisce l’occasione anche per sottoporre a revisione le modalità di emanazione dei decreti ministeriali che individuano i citati parametri. Per quanto riguarda la categoria dei commercialisti, attualmente il DM n. 140/2012 non contempla una serie di attività pur svolte da questi come, ad esempio, le prestazioni aventi ad oggetto l’attività di asseverazione e attestazione, di sistemazione di interessi tra privati, la predisposizione del bilancio sociale, di sostenibilità e ambientale, gli arbitrati, la consulenza aziendale specifica. Ciò discende dal mancato coinvolgimento dell’Ordine professionale nel processo di elaborazione dei parametri. Per questo, sarebbe opportuno introdurre un’apposita norma primaria che disponga l’adozione di singoli decreti ministeriali per la individuazione dei parametri specifici di ciascuna professione. Tali decreti dovrebbero essere emanati dal Ministero su proposta del singolo Ordine professionale e dovrebbero essere sottoposti ad aggiornamento periodico quantomeno biennale. Attualmente ciò è espressamente previsto solo per la determinazione dei parametri ministeriali per i compensi degli avvocati. L’introduzione di analoga disposizione, dunque, avrebbe il benefico effetto di riallineare il sistema e ricondurlo a maggiore coerenza”.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]